SPAZIO APERTO
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derano contribuire, senza preoccupar-
si di eventuali conflitti di ora o luogo.
Spesso i partecipanti stessi decidono
di aggregare le proprie proposte simili
in un unico gruppo di lavoro, e si ac-
cordano sui tempi e gli orari in modo
da non avere conflitti. Il facilitatore for-
nisce supporto a questo processo sen-
za fretta, fino a che ciascun gruppo di
lavoro non abbia un luogo, un orario e
un responsabile della discussione. Al-
cuni dei temi proposti avrannopochis-
simi iscritti: sarà lo stesso proponente
a decidere se confluire in un gruppo
più grande, o lasciare il gruppo di la-
voro così com’è, discutendo in pochi.
In questo modo emergono i temi di
maggior interesse per i partecipanti,
mentre alcuni argomenti di poco inte-
resse perdono rilevanza.
A questo punto il facilitatore esorta
i gruppi a riunirsi ed iniziare a lavorare
e lascia la stanza, proprio per aiutare
i partecipanti a capire che essi stessi
sono responsabili. Prima di lasciare la
stanza dà a tutti appuntamento per il
momento serale conclusivo.
I partecipanti iniziano a lavorare
nei gruppi; alcuni si attardano al rin-
fresco (che ha la funzione di evitare
interruzioni per la pausa pranzo e di
incoraggiare i partecipanti a tornare
nella stanza plenaria tra una riunione
e l’altra e riguardare il programma dei
lavori sul muro di riferimento).
Da ora in poi il ruolo del facilitatore
si limita ad organizzare la raccolta dei
report dei vari gruppi, a prendersi cura
della stanzadellaplenariaedassicurar-
si che tutti i fogli siano appesi al muro,
con tutte le informazioni necessarie af-
finché i partecipanti sappiano dove e
a che ora si svolgono le sessioni scelte.
Man mano che i gruppi di lavoro redi-
gono i propri report, poi, questi ven-
gono stampati e appesi al muro, per-
ché tutti sappiano cosa è stato deciso
ed eventualmente possano iniziare
nuovi gruppi per integrare e migliora-
re le proposte emerse.
Infatti, ciascun partecipante, in
ciascun momento, può inserire nel
programma un nuovo argomento.
Compito del facilitatore sarà in que-
sto caso quello di girare nelle stanze
per informare che è stata indetta una
nuova riunione, in modo che chi ab-
bia interesse a partecipare possa farlo.
Durante il
momento conclusivo
vie-
ne letto il documento finale, vengono
annunciati gli impegni presi, i passi
successivi e i commenti sull’evento.
I partecipanti tornano a riunirsi nel
gruppo in plenaria e le sedie sono in
cerchio. Il facilitatore dà ai parteci-
panti che lo desiderino l’opportunità
di fare commenti sull’evento e di for-
mulare le proprie proposte. Durante
la sessione finale a tutti i partecipanti
viene consegnata una copia del do-
cumento finale che contiene propo-
ste, decisioni e conclusioni di ciascun
gruppo di lavoro.
In certi casi è però meglio non usa-
re l’Open Space. Per esempio, quan-
do si sa già dove l’organizzazione si
deve dirigere e si vuole coinvolgere
altri partecipanti in una scelta di fatto
già presa. In questo caso l’Open Spa-
ce non è affatto utile perché questa
tecnica implica un coinvolgimento
reale ed effettivo, nonché una dispo-
nibilità da parte di chi è responsabile
delle scelte, ad utilizzare le proposte
che emergono dalla sessione. In caso
contrario questo sistema di coinvolgi-
mento creerà soltanto frustrazione e
risentimento nei partecipanti.
Infine, l’obiettivo dell’Open Space
non è solo quello di formulare pro-
poste ma anche di assumersi delle
responsabilità nella loro realizzazio-
ne. Per questo motivo è importante
che partecipino alla sessione, oltre
agli attori esterni, anche i membri
interni dell’organizzazione che, ne-
cessariamente, avranno un ruolo
fondamentale nell’attuazione delle
proposte emerse. Nello stesso tempo
la tecnica avrà ancora più successo
se il decisore che avvia il processo è
disposto a coinvolgere i partecipanti
anche negli stadi successivi: quelli re-
lativi all’attuazione. Da qui nasce un
vero lavoro di partenariato, in cui cia-
scun attore, sulla base delle sue stes-