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QUADERNI DI
ORIENTAMENTO
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produce significati che vengono
condivisi da una comunità cultura-
le. Adempie allora ad un’importante
funzione sociale: quella di condivi-
dere i significati. Come dimostrano
le recenti ricerche sui neuroni spec-
chio la condivisione di emozioni ed
intenzioni avviene ad un livello bio-
logico, preriflessivo (Iacoboni, 2008)
e questo fatto è un dato di partenza
molto importante rispetto alle suc-
cessive interpretazioni di significato
che facciamo. Siamo naturalmente,
neurobiologicamente portati ad es-
sere empatici, a rispecchiare e con-
dividere emozioni e intenzioni, ma
questa struttura è tenuta nascosta
e in un certo senso “soffocata” dal li-
vello esplicito delle nostre riflessio-
ni, della nostra cultura, del nostro
esserci abituati a condividere signi-
ficati, intenzioni, emozioni, attraver-
so meccanismi verbali.
Le storie rivestono, in questo sen-
so, un potente mezzo di educazione
e sintonizzazione emozionale (Sun-
derland, 2004): le narrazioni sono
uno strumento per entrare in sinto-
nia con le proprie emozioni ricono-
scendole in quelle di altri (i perso-
naggi della storia), le storie educano
al riconoscimento delle proprie e
delle altrui emozioni, aiutano a con-
dividere significati e a dare un nome
(dunque a esercitare un potere) a
quello che prima poteva essere un
“magma”, qualcosa di poco definito
e dunque più difficile e complesso
da gestire. Le frontiere delle neuro-
scienze potranno, in questo senso,
fornire un contributo importante
alla comprensione della nostra attra-
zione per le storie e del perché esse
funzionino così bene per condivide-
re e riconoscere emozioni, intenzioni
e significati: il movimento empatico
che ci consente di com-muoverci
(che non a caso significa “muoversi
con”) diventa così lo schemamotorio
che i neuroni specchio ci consento-
no di attivare quando un personag-
gio fa un’azione, prova un’emozione,
ha un’intenzione.
CONCLUSIONI
Cappuccetto Rosso nelle versioni
che abbiamo preso in esame ha avu-
to, storicamente, funzioni comple-
tamente differenti. La prospettiva di
condivisione di significato che qui si è
esaminata, servendosi di una storia a
tutti nota, ha funzionato in tutti i tem-
pi e in tutte le versioni, il problema da
porsi, in senso pedagogico è adesso
quale versione dovrebbe produrre, in
termini educativi, un risultato miglio-
re. La risposta è, ovviamente, nascosta
nelle nostre intenzioni: se abbiamo
intenzione di educare all’autonomia
o alla dipendenza, all’obbedienza o
alla scelta, al conformismo o alla pro-
gettualità di ognuno.
Le narrazioni funzionano come
strumento potente di condivisione,
a differenza dei discorsi di tipo para-
digmatico non suscitano diffidenza
e difesa, vengono accettate più facil-
mente e più facilmente ricordate, sve-
lano la loro intenzione in modo più
graduale ed emozionale.
Le narrazioni comunicano sempre
qualcosa: tanto più la strumentazione
interpretativa di un soggetto è forte e
matura e tanto meno potrà accettare
acriticamente significati che le molte-
plici tipologie di storie veicolate dalla
moltissime agenzie narrative odierne
(la televisione, i blog, i social network,
il cinema, la scuola, ecc.) gli propon-
gono.
I significati che attribuisco agli eventi,
alle relazioni, a ciò che mi accade strut-
turanolamiaidentitàelamodalitàattra-
versolaqualepensoeritengodipoterla
progettare e controllare. L’equilibrio di
ogni soggetto sta in una serena tensio-
ne tra ciò che è e ciò che vorrebbe/po-
trebbe essere, il linguaggio delle storie
stimola questa tensione aiutando a in-
tercettare le emozioni ad un livello pro-
fondo: il linguaggio piano del pensiero
nonè il linguaggiodell’immaginazione,
ma è l’immaginazione che consente di
accedere alle emozioni, di gestirle, di
controllarle, di prevederle. Gli schemi
comportamentali che progettiamo per
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