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zate ed ora, a pochi mesi dal termi-
ne della scuola, sembra che gli in-
tervistati sappiano sicuramente se
continuare gli studi o cercare un la-
voro. Lo stesso discorso può valere
per la dimensione
Conflitto.
La diffi-
coltà di mettere in atto propri pro-
getti, scaturiti proprio dall’analisi
degli interessi, e la presenza di osta-
coli ritenuti difficilmente eliminabi-
li nel breve periodo, sono comun-
que segnali di un campione attivo,
che cerca di esprimere il proprio
progetto di vita. Lo stesso vale per
l’
Autoefficacia
. Comunque, la pre-
senza di punteggi alti in Autoeffica-
cia e bassi in Indecisione e Conflitto
era già emersa in altre ricerche
(Trentin, Monari, Nota, 2000) e
quindi questa viene ad essere una
conferma a quei dati. Così come in
precedenza (Soresi, 2000), se l’
Au-
toefficacia
viene concepita come
strategia di fronteggiamento, ne
viene ribadito il suo ruolo nel pro-
cesso di
decision making
.
Analizzando i campioni per iden-
tità di genere, il valore non signifi-
cativo della dimensione
Autoeffica-
cia
va controcorrente rispetto ai da-
ti presenti in letteratura; infatti,
un’analisi delle ricerche precedenti
(Hackett, Betz, 1995) mostra l’accor-
do sul ritenere i maschi più dotati
di autoefficacia, tanto che ciò sareb-
be alla base delle loro occupazioni
professionali di primo piano; di
conseguenza, il fatto che le donne
occupino posizioni meno importan-
ti e di secondo livello dipenderebbe
proprio dal basso livello di autoeffi-
cacia. Il disaccordo dei risultati
emersi dalla presente ricerca, po-
trebbe essere una smentita a queste
considerazioni, anche in virtù della
posizione che le ragazze assumono
rispetto il lavoro. Viene meno, quin-
di, l’idea che il processo di scelta di-
penda direttamente dall’identità di
genere, così come invece si ipotiz-
zava. Entrando maggiormente nel-
l’ambito lavorativo, le considera-
zioni che il campione ha offerto so-
no davvero inaspettate.
Il primo punto rilevante è la non si-
gnificatività del lavoro in nessuna
variabile; anzi, emerge un’elevata
importanza e una visione forse
“idealistica” del lavoro stesso. Non
si vuole, però, pensare che questa
idea positiva venga meno con le
prime esperienze lavorative, così
come espresso in altri studi (Qua-
derni Isfol, 1992). Interessante è poi
il fatto che le femmine considerino
il lavoro alla stregua dei maschi; an-
zi, queste pongono una maggior at-
tenzione dei loro compagni verso le
caratteristiche familiari del lavoro,
il che potrebbe dipendere da in-
fluenze di tipo materno. Attual-
mente, infatti, nella maggior parte
dei casi, le donne hanno un’occupa-
zione esterna e le figlie, cresciute
vedendo la madre in grado di occu-
parsi tanto della casa quanto del la-
voro, ne hanno fatto un modello da
imitare. Inoltre, in letteratura (Ca-
valli, Facchini, 2001) si trova che la
madre che lavora, esercita una
grande influenza sui figli e soprat-
tutto sulle figlie.
Infine, osservando le percentuali di
coloro che si trovano in una situa-
zione di transizione F/F (62,2%) ri-
spetto a F/L (37,7%) si deducono
due principali conseguenze.
La prima riguarda l’effettiva libera-
lizzazione degli accessi universitari
(Fisher, 2000); infatti il 35% degli
studenti provenienti da istituti pro-
fessionali, sulla totalità del campio-
ne esaminato, si iscrive all’univer-
sità. Il dato relativo agli studenti del
licei sfiora il 100%. La maggior par-
te dei ragazzi proveniente dalle
scuole tecniche è orientata alla ri-
cerca di un lavoro piuttosto che ad
una cammino universitario; questo
dipende dal fatto che gli istituti tec-
nici esaminati sono relativi all’area
industriale e commerciale e quindi
offrono, ai propri diplomati, la pos-
sibilità immediata di spendersi nel
lavoro (Pavoni, Sironi, Tabacchi,
1999).
La seconda viene interpretata come
un segnale dalla doppia valenza;
esplicita se si considera il valore che
viene assegnato all’istruzione e alla
convinzione delle possibilità e delle
conoscenze che, un percorso uni-
versitario prima e una laurea poi,
possono offrire; implicita come sin-
tomo di benessere economico, ne-
cessario per iniziare e supportare
tanto il percorso scolastico in sé
quanto la permanenza in casa del
figlio, oltre la maggiore età e il di-
ploma.
È, questa, un’ulteriore conferma ai
dati presenti in letteratura, secondo
cui i figli rimangono all’interno del
nucleo familiare, su cui gravano, fi-
no ai 30 anni; la conseguenza ulti-
ma, ma inevitabile, è l’allungamen-
to della condizione giovanile (Buz-
zi, Cavalli, De Lillo, 1996).
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TRANSIZIONE POST-DIPLOMA
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QUADERNI
DI
ORIENTAMENTO
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