2. Se quanto detto è vero, ne conse-
gue che anche la dimensione lu-
dica, non solo nella scuola del-
l’infanzia, deve essere piena-
mente recuperata e valorizzata,
ovvero deve entrare a far parte
del piano intenzionale dell’offer-
ta formativa. Il gioco è uno stru-
mento di comunicazione e di co-
noscenza reciproca: insegnarsi
reciprocamente giochi che fanno
parte del proprio patrimonio
esperienziale non solo aiuta a
rompere il ghiaccio ma consente
di riconoscersi qualità da non
trascurare, stimola la curiosità,
abitua al decentramento ed è un
potentissimo fattore di appren-
dimento linguistico spontaneo.
3. I curricoli disciplinari non devo-
no essere percepiti come qualco-
sa di separato rispetto alla sfera
relazionale e affettiva, comuni-
cando implicitamente il messag-
gio che “ora si fa sul serio”. Per-
tanto vanno colte tutte le occa-
sioni in cui sia possibile la valo-
rizzazione del sapere di cui “gli
altri” sono portatori. Chi provie-
ne da altri universi culturali, an-
che se all’inizio non parla o par-
la a stento la nostra lingua, non è
una
tabula rasa
e può aprire una
finestra su mondi che cessano di
essere solo nozioni libresche. In
definitiva, la presenza degli stra-
nieri è più che un problema una
risorsa, un’occasione per “analisi
contrastive” che favoriscono il
decentramento e la relativizza-
zione dei punti di vista.
4. In questa prospettiva può essere
prezioso il contributo dei media-
tori culturali ma anche degli
stessi genitori degli alunni stra-
nieri.
5. Anche l’incontro tra adulti a
scuola va favorito e incoraggiato.
I momenti di festa, lo scambio di
L’ORIENTAMENTO IN PROSPETTIVA
20
QUADERNI
DI
ORIENTAMENTO
■
27
tradizioni alimentari aiutano a
far sentire la scuola come luogo
in cui trovare ascolto e risposta a
bisogni concreti e può essere
un’occasione importante per ini-
ziare a rompere l’isolamento so-
ciale e il ripiegamento autorefe-
renziale.
6. Tutto ciò deve ripercuotersi nella
pratica didattica quotidiana. Se
la coerenza è la cartina di torna-
sole su cui misurare la credibilità
di qualsiasi educazione, tanto
più l’intercultura come prospet-
tiva complessiva di impostazio-
ne educativa richiede una gran-
de coerenza tra
ciò che
si dice e
come
lo si dice, tra obiettivo e me-
todo. Senza, pertanto, entrare nel
merito dei contenuti, ciò che por-
terebbe questo già lungo inter-
vento a dilatarsi eccessivamente,
mi limiterei a suggerire come
metodologia più fertile quella
del
cooperative learning
9
, che non
solo è estremamente flessibile
ma consente di perseguire gli
obiettivi cognitivi e di contenuto
più svariati in assoluta coerenza
con le esigenze di clima fin qui
descritte. Il gruppo cooperativo,
spostando il
focus
dall’attenzione
quasi esclusiva sui contenuti del-
l’insegnamento all’apprendi-
mento, inteso come processo
complesso, che deve armonizza-
re fattori sociali, affettivi e cogni-
tivi, consente una migliore e più
attiva partecipazione degli alun-
ni. In particolare, con alunni
stranieri, il
cooperative learning
stimola un incremento di scambi
verbali tra pari che aiuta a supe-
rare blocchi emotivi e a fissare le
strutture linguistiche con cui co-
dificare i nuovi contenuti, dato
che nel gruppo è necessaria una
continua negoziazione dei signi-
ficati. Ovviamente un gruppo è
cooperativo quando realizza
un’
interdipendenza positiva
,
ovvero se ciascun membro si
sente parte di una squadra ed è
disposto pertanto a valorizzare i
risultati altrui quanto i propri, ed
essere perciò in grado di “aiuta-
re, dirigere, consigliare, incorag-
giare, commentare”, sentendosi
responsabile
in prima persona
di ciò che il gruppo realizza.
RUOLO STRATEGICO
DELL’APPRENDIMENTO
LINGUISTICO
La rassegna, che non ha alcuna pre-
tesa di essere esaustiva, dei criteri
cui prestare attenzione per fondare
una pratica effettiva dell’intercultu-
ra, non deve far perdere di vista la
necessità di affrontare con rigore e
professionalità il nodo cruciale del-
la lingua. Questo è uno dei campi
più indagati ed è impossibile qui
darne conto in modo approfondito.
La ricerca evolve con l’evolvere
stesso del fenomeno ma esistono
dei punti di riferimento che posso-
no essere ormai considerati come
punti fermi. Sommariamente: la di-
stinzione tra lingua della comunica-
zione e lingua dello studio (quella
che consente i processi di codifica
delle nozioni disciplinari e stimola
lo sviluppo cognitivo), il rapporto
tra L1 (la lingua madre da cui si
proviene) e L2 (la lingua dominante
del paese in cui si studia), la nozio-
ne di interlingua (la struttura “flut-
tuante” che si viene a creare tra la
lingua madre e quella con cui si co-
munica nel paese ospitante). Sono
tutti aspetti, questi, che devono es-
sere tenuti presenti se si vuole por-
tare sul serio gli alunni stranieri ad
“abitare” (è la bella metafora utiliz-