sia quella delle conoscenze e dei
curricoli e all’esterno l’insieme dei
rapporti tra scuola e territorio.
Vediamo allora alcuni punti di rife-
rimento attorno ai quali si può co-
minciare a delineare la soluzione
diffusa. Quanto dirò non ha certo
pretese di completezza: è semplice-
mente il portato dell’assunto teori-
co sopra argomentato (dalla coesi-
stenza irrelata dei diversi alla rela-
zione “contaminante”) e di espe-
rienze accumulate.
1. La cittadinanza attiva non co-
mincia “dopo la scuola”, non è
qualcosa cui ci si prepara ma un
allenamento continuo da realiz-
zare subito. È la pratica della re-
sponsabilità personale e diretta
che la può far capire, non la le-
zione sui diritti. Avviare, pertan-
to, gli alunni all’assunzione di
incarichi e alla loro verifica, com-
presa la gestione dei loro conflit-
ti, negoziare uno spazio di di-
scussione e di messa in discus-
sione delle regole (tempo del cer-
chio, rotazione dei ruoli, elezio-
ne per l’attribuzione di incarichi
di maggiore impatto collettivo),
sono un insieme di possibili stra-
tegie volte a trasformare il ribel-
lismo e l’anarchismo più o meno
latente dei giovani verso forme
di aggregazione sociale produtti-
va. E gli stranieri cosa c’entrano?
Ebbene, arricchire tali momenti
di negoziazione mediante il
coinvolgimento di chi proviene
da esperienze diverse di rappor-
to adulto-minore, è già una for-
ma di meticciato culturale, una
sorta di prima verifica del con-
cetto di diritto. Significa impara-
re (o reimparare) che a scuola
non si va solo per studiare le
“materie” ma anche (e soprattut-
to) per formarsi attraverso le re-
lazioni.
19
QUADERNI
DI
ORIENTAMENTO
■
27
Orientamento e scuola
cate tutto il resto”
2
. In sostanza, ri-
conoscere l’appartenenza alla spe-
cie come criterio unico e sufficiente
di scelta morale, è diventato il pun-
to di vista della nuova universalità.
Una volta si diceva che l’uomo non
ha una natura, ché la sua natura è
appunto quella di essere cultural-
mente (cioè, storicamente) determi-
nato. Ora non è più così.
Se l’attuale
fase di “popoli in movimento” non è ac-
compagnata da una prospettiva educa-
tiva capace di mettere le culture in co-
municazione e in grado di contaminar-
si reciprocamente
, i conflitti e i ghet-
ti
3
, e il circolo vizioso che si stabili-
sce tra gli uni e gli altri, sono desti-
nati a crescere con conseguenze ca-
tastrofiche rispetto alla stessa so-
pravvivenza della specie o almeno
di quel tenore di vita che siamo or-
mai abituati a definire umano.
E. Morin parla giustamente di due
comprensioni: quella intellettuale
(o oggettiva) e quella umana (o in-
tersoggettiva)
4
. Non si accede a
quest’ultima senza la prima, ciò si-
gnifica che il sapere passa innanzi-
tutto attraverso l’intellegibilità e la
spiegazione ma si coglie l’altro (e lo
si comprende) solo quando lo si
percepisce come soggetto (
alter ego
o
ego alter
).
Tutto ciò non è una vaga esigenza
moralistica ma una necessità vitale:
l’
homo sapiens
deve governare l’
ho-
mo tecnologicus
per non autodistrug-
gersi. “Dal momento che la specie
umana continua la sua avventura
sotto la minaccia dell’autodistru-
zione, l’imperativo è divenuto:
sal-
vare l’Umanità realizzandola
”
5
.
Alla luce di quanto sopra, e recupe-
rando un’idea forte del pensiero
ambientalista “pensare globalmen-
te e agire localmente”
6
, pur con i li-
miti evidenti che qualsiasi pratica
realizzazione reca con sé, penso che
la
prospettiva interculturale
vada col-
ta in tutta la sua potenzialità, come
occasione storica per fare delle
scuole laboratori di convivenza de-
mocratica e strumenti di supera-
mento di questa nuova fase di “con-
fusione delle lingue”
7
che stiamo at-
traversando.
LA PROSPETTIVA
INTERCULTURALE
Ma cosa vuol dire in concreto edu-
cazione interculturale? Le azioni
che la possono attuare sono talmen-
te svariate che riesce difficile darne
una descrizione completa e non è
certo questa la sede per tentare di
essere esaustivi. Forse, se riusciamo
a mantenere chiaro l’obiettivo gene-
rale (la “contaminazione”), siamo
in grado di dire quali sono le condi-
zioni che consentono di praticarla
in modo più efficace.
A proposito delle possibili soluzio-
ni che la scuola può dare all’inter-
cultura, E. Damiano individua tre
tipologie di percorsi praticati in
modo prevalente: 1) la soluzione
estemporanea (feste, mostre, ecc), 2)
la soluzione specifica (ovvero nuo-
va materia), 3) la soluzione delle
materie ospitanti
8
.
È evidente che la seconda soluzione
equivarrebbe ad una sorta di
neu-
tralizzazione
dell’intercultura, tolta
dalla dimensione dell’agito e fatta
confluire nella più innocua e tran-
quillizzante sfera del “parlato”, ma
anche la prima e la terza non soddi-
sfano pienamente le sue potenzia-
lità. Ciò che occorre perseguire è un
quarto tipo di percorso, quello che,
sempre Damiano, chiama della so-
luzione diffusa, consistente in una
reimpostazione complessiva della
proposta educativa che attraversi,
all’interno della scuola, sia la sfera
dei comportamenti e delle relazioni