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QUADERNI
DI
ORIENTAMENTO
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Spazio aperto
Walter Gerbino
UNIVERSITÀ SENZA GUIDA
No, non voglio sostenere che l’u-
niversità italiana sia, in questo
momento, priva di una leadership
efficace. Voglio piuttosto esprime-
re un auspicio, formulare un desi-
derio utopistico, enunciare un
ideale ergonomico: quello di un’u-
niversità così semplice da non
richiedere l’esistenza di un ma-
nuale di istruzioni per l’uso, così
intuitiva da rendere ogni guida
(cartacea, elettronica, umana) pra-
ticamente superflua. Siamo ben
lontani da tale situazione, ovvia-
mente; ma può essere utile cercare
di capire perché.
Presentare l’università ai futuri
studenti è difficile. È così, c’è poco
da fare. Si tratta di una constata-
zione diffusa, sancita anche dalla
istituzionalizzazione delle attività
di orientamento; attività con le
quali si cerca di spiegare agli uten-
ti le peculiarità dell’ambiente
accademico, a volte distribuendo
regole per la sopravvivenza in un
mondo caotico. Come molti,
credo sarebbe più proficuo inve-
stire sulla semplificazione del
sistema universitario piuttosto
che sulla gestione della comples-
sità e sullo sviluppo di sofisticate
strategie di orientamento. Ma pro-
prio in tale ottica è importante
individuare i fattori che, negli ulti-
mi anni, hanno reso l’università
italiana poco presentabile. Natu-
ralmente, quando dico che l’uni-
versità è poco presentabile inten-
do dire che è difficile trovare i
modelli giusti con cui rappresen-
tare la sua natura e il suo funzio-
namento, in modo da instaurare
una comunicazione efficace con i
futuri studenti.
Il modello più presente, e forse
più fuorviante, è quello della
scuola. L’università deve essere
dotata, questo è indubbio, anche
di un’efficiente organizzazione di
tipo scolastico: con aule, laborato-
ri didattici, programmi di istru-
zione, sistemi di valutazione, tutti
al servizio di una buona dose di
voglia di insegnare, da un parte, e
di voglia di studiare, dall’altra. E
tutti sanno che per svolgere in
modo professionale le proprie
attività formative l’università
avrebbe bisogno di risorse ben
superiori a quelle attualmente
disponibili e di un contesto nor-
mativo complessivamente più
stabile. Tuttavia la sua totale assi-
milazione a un’istituzione scola-
stica rappresenta un’evidente ano-
malia.
Si pensi al fondamentale ruolo di
conservazione e sviluppo delle
conoscenze in settori che hanno
minori opportunità di attrarre stu-
denti, per ragioni a volte congiun-
turali. La tutela di tali settori disci-
plinari dipende anche dalla con-
sapevolezza che l’università
serve, anzitutto, alla produzione
di conoscenza.
Ora, se è vero che l’università fun-
ziona meglio in presenza di un
numero ottimale di studenti, è
anche vero che è inevitabilmente
destinata all’inefficienza se gli stu-
denti sono in numero eccessivo.
Potrà sembrare una considerazio-
ne ovvia e banale, ma non lo è
affatto. Siamo ben lontani dall’a-
ver sviluppato, almeno nel siste-
ma italiano, elementari standard
di qualità, volti a impedire il
reclutamento di un numero ecces-
sivo di iscritti a un medesimo
corso di studi. Come se l’univer-
sità-scuola, in virtù di qualche
potere sovrannaturale (forse attri-
buibile alla sua natura di istituzio-
ne di “alta formazione”), fosse in
grado di coinvolgere con eguale
efficacia trenta studenti oppure
trecento, al di fuori di ogni criterio
di sostenibilità.
I futuri studenti dovrebbero guar-
dare con interesse ai corsi che
dimostrano di possedere un ele-
vato numero di docenti, in rap-
porto al numero di iscritti. È in
quelle nicchie che più facilmente
si può racchiudere il senso degli
studi universitari; studi nei quali
il valore aggiunto consiste, rispet-
to alla formazione acquisibile in
altri contesti, nella possibilità di
formarsi accanto a chi si misura
con la ricerca, sperimentando in
presa diretta le asperità del lavoro
intellettuale e acquisendo le abi-
lità necessarie a renderlo davvero
produttivo.
La scarsa attenzione per la defini-
zione di standard numerici basati
su criteri intrinseci (la natura degli
apprendimenti) e non su criteri
statistici (la media delle iscrizioni
registrate nei vari atenei) è solo
uno dei segni della difficoltà del
nostro sistema universitario a
tener conto del semplice buon
senso. Ancora più clamoroso è
quanto accaduto in Italia, a segui-
to dell’attuazione del cosiddetto
“Processo di Bologna”.
Con il termine “Processo di Bo-
logna” viene indicata un’iniziati-
va che, a partire dal 1999, impe-
gna un numero crescente di paesi
europei e che ha come obiettivo la
utopia dell’università
senza guida
presuppone
che lo studente
possieda
un buon modello
mentale
del sistema
in cui sta per entrare
L’