tralasciare di occuparsi anche del
percorso evolutivo personale. Una
mediazione, difatti, potrà conside-
rarsi riuscita se gli accordi saranno
vantaggiosi e proficui sia per i figli
che per i due genitori.
Dopo la separazione vi è un perio-
do, dai più individuato nell’arco di
due anni, durante il quale vengono
operate scelte che a tratti amplifi-
cano e incrementano il conflitto e a
tratti vanno verso un riavvicinamen-
to, il più delle volte confusivo, tra i
due genitori. Questa serie di passag-
gi fa sì che nell’arco di questo perio-
do i figli, quasi costantemente, si tro-
vino a vivere dei momenti di parti-
colare disagio, in parte legato co-
me già segnalato al conflitto, ma
per altri versi frutto della confusione
che a loro volta i genitori immettono
nella loro relazione in quanto ex co-
niugi. Difatti, non sapendo come far
transitare la genitorialità oltre la co-
niugalità, rischiano spesso di assu-
mere decisioni che, sebbene razio-
nalmente abbiano l’obiettivo di fare
il bene dei figli ed in particolare di
aiutarli a soffrire meno, in realtà risul-
tano modalità per ridurre la loro
stessa sofferenza, sulla scia dello
sforzo di contenere gli effetti doloro-
si provocati dalla rottura del lega-
me.
La mediazione familiare non ha cer-
to il compito di aiutare la famiglia
ad elaborare il proprio dolore, es-
sendo questo un compito che attie-
ne più propriamente ad un approc-
cio psicoterapico, ma favorisce tale
elaborazione attraverso il recupero
di una serenità nell’affrontare scelte
e decisioni fondamentali per la cre-
scita armonica dei figli.
Riemerge così la centralità sia della
continuità genitoriale che della so-
pravvivenza del legame con la pro-
pria storia familiare e personale;
questo aspetto sembra però “un
po’ messo da parte in alcuni model-
li di mediazione familiare, come se
di fronte alla necessità di trovare
accordi magicamente le persone
Spazio aperto
il quale, al fine di eliminare l’altro e
l’altra stirpe dalla vita dei figli, non
permette alcun accesso ad accor-
di relativi alla condivisione della ge-
nitorialità.
Non riescono ad utilizzare positiva-
mente lo strumento della mediazio-
ne familiare e vengono pertanto
definite non mediabili (Mattucci,
Pappalardo, 2001): coppie che pro-
cedono nel conflitto per anni senza
trovare mai soluzione alle proprie
difficoltà e senza mai fare ricorso
con successo all’aiuto di un profes-
sionista della psiche; coppie che
tendono ad escludere un genitore,
favorendo così l’instaurarsi della co-
siddetta sindrome di alienazione ge-
nitoriale (Gardner, 1989; Clawar &
Rivlin, 1992; Buzzi, 1997); coppie nel-
le quali il conflitto ha determinato il
disinteresse pressoché totale da
parte di uno dei due genitori nei
confronti dei figli o ha addirittura fat-
to sì che un genitore rinunciasse sin
dall’esordio alla propria funzione
genitoriale, non riconoscendo il
nuovo nato come proprio figlio-di-
scendente.
Nonostante le perplessità di alcuni
mediatori, l’esperienza maturata in
questi anni presso l’ITFV ed altri Cen-
tri facenti parte dell’A.I.M.S. ha mo-
strato che inserire in un percorso di
mediazione coppie siffatte non solo
può rischiare di non produrre risulta-
ti positivi, ma può addirittura risulta-
re dannoso, in quanto, in seguito al
fallimento del tentativo di mediazio-
ne, i due genitori finiscono per sen-
tirsi rinforzati nel loro senso di impo-
tenza e nell’idea della ineluttabilità
del conflitto in cui sono invischiati.
Inevitabile per loro pensare che nes-
suno li possa aiutare e finire così per
avvilupparsi in modo sempre più
confuso intorno a situazioni di con-
trapposizione, a partire il più delle
volte da elementi banali di contra-
sto.
In questi casi, come già descritto nel
citato articolo (Mattucci, Pappalar-
do, 2001), le coppie finiscono per
delegare, come estrema possibilità,
al sistema Giustizia la soluzione delle
proprie difficoltà.
SEPARAZIONE
CONIUGALE E TUTELA
DELLA GENITORIALITÀ
Come già anticipato, il difficile com-
pito a cui sono chiamate le coppie
che si separano è quello di portare
in salvo la genitorialità al di là del
conflitto e della rottura coniugale.
La mediazione familiare nasce difat-
ti come un intervento che ha, tra le
altre, la finalità di proteggere l’eser-
cizio genitoriale; l’obiettivo è cioè
quello di consentire ai figli di avere
una continuità di relazione con co-
loro che svolgono le funzioni genito-
riali e, attraverso essi, di conservare
una relazione significativa con le fa-
miglie d’origine. Va da sé che ciò
che deve realizzarsi alla fine di un
matrimonio è “un equilibrio di di-
stanza tra ex coniugi e un equilibrio
di funzioni tra l’essere ex coniugi e
l’essere ancora genitori” (Iafrate e
Lanz, 1995). Come ho già sottolinea-
to, ma vale la pena ricordarlo, a
provocare effetti negativi sui figli è
soprattutto “il conflitto esistente tra i
genitori nel suo sviluppo prima, du-
rante e dopo la separazione, piutto-
sto che la separazione in sé” (Santi,
1980).
Del resto a nessuno sfugge quanto
l’elaborazione della rottura coniu-
gale sia un processo estremamente
doloroso, difficile e complesso, co-
me pure che “solo se ciascuno dei
partner giunge ad accettare la pro-
pria parte di responsabilità nell’aver
contribuito al fallimento del matri-
monio (…) la crisi potrà infatti dirsi
affrontata e superata” (Cigoli, Ga-
limberti e Mombelli, 1988; Cigoli,
1991) e, di conseguenza, madre e
padre potranno dedicarsi serena-
mente alla crescita dei figli, senza
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QUADERNI
DI
ORIENTAMENTO
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