Spazio aperto
nella capacità di riconoscere le dif-
ferenze e di elaborarle, senza cade-
re nel rischio di trasformarle in diver-
sità, ovvero in qualcosa che viene
etichettato e che perde così la pos-
sibilità di essere rielaborato”. Il rico-
noscimento della nostra unicità e la
possibilità di riconoscere l’unicità di
cui sono portatori gli altri non solo
rappresentano la modalità più ricca
di apprendimento, ma anche pro-
muovono la capacità di rispettare e
accettare i confini che ci distinguo-
no da tutto ciò che è altro da noi.
Naturalmente, questo passaggio è
realizzabile nella misura in cui l’indi-
viduo ha precedentemente impa-
rato ad integrare dentro di sé le dif-
ferenze di cui lui stesso è portatore.
Il conflitto nasce dalla gestione del-
le differenze. Pertanto, il conflitto è
un elemento costitutivo della vita di
ogni individuo. Ogni persona posta
di fronte a delle scelte operative,
ma soprattutto nel compiere i pas-
saggi evolutivi, si trova ad affronta-
re l’ambivalenza tra ciò che desi-
dera realizzare e ciò che teme di
perdere attraverso il cambiamen-
to. La consapevolezza del passag-
gio consente di operare la scelta
più adeguata in quel preciso mo-
mento di vita, in rapporto alle risor-
se disponibili e nel rispetto del con-
testo relazionale in cui quel passag-
gio va ad inscriversi. In assenza di
una capacità elaborativa le perso-
ne rimangono bloccate e non rie-
scono ad operare alcuna scelta,
paralizzate in una distruttiva indeci-
sione sul da farsi.
È evidente come il processo evoluti-
vo, con i suoi passaggi critici, non sia
mai una questione solo individuale,
ma risenta in modo decisivo del
contesto ambientale, sociale e rela-
zionale in cui si realizza. Come ricor-
da Moravia (1999), l’uomo “è un es-
sere contestuale. È solo entro il siste-
ma dei rapporti, dei condiziona-
menti, dei singoli stimoli visibili e invi-
sibili in cui vive ch’egli va acquisen-
do gradualmente la sua fisionomia
più caratteristica: la sua fisionomia
di uomo-persona, di agente attivo e
insieme passivo”. Lo stesso Moravia
sottolinea “la centralità del conte-
sto nell’esistenza che noi siamo, nel-
la vicenda di conflitti e di mediazio-
ni attraverso la quale si svolge la no-
stra vita”. L’autore, facendo riferi-
mento alla prospettiva contestuali-
stica, definisce il contesto come “il
luogo in cui l’essere umano scopre
le proprie capacità e i propri biso-
gni. È il luogo in cui queste capacità
e bisogni assumono insieme il loro
volto sociale e la loro identità perso-
nale. È il luogo in cui incontri e scon-
tri intersoggettivi generano le diffe-
renze tra l’io, il tu e il lui. È il luogo in
cui si produce quel gioco di passio-
ni e di interesse contrastanti per il
quale la vita è quello che è: un con-
flitto di ambizioni e di progetti, di
obiettivi e di fini, di condotte e di
ideali diversi“ (pag. 36).
Nella costruzione della relazione di
coppia è fondamentale come
ognuno dei partner si pone di fronte
al conflitto, affinché le differenze di
cultura e di modelli di provenienza,
le divergenze di pensiero, di opinio-
ni e di scelte pragmatiche divenga-
no uno stimolo sia per la crescita in-
dividuale che per quella di coppia.
Confrontarsi con ciò che è differen-
te da noi non è affatto semplice,
tant’è che, ad esempio, molte cop-
pie si costruiscono sulla base di una
ricerca a volte assoluta di condivi-
sione senza riserve della visione del
mondo, degli hobbies, degli stili di vi-
ta, come se si volesse evitare la pos-
sibilità di confrontarsi con l’altro e
quindi eliminare le occasioni di
scontro.
In altre situazioni è questo stesso ti-
more di scontrarsi che fa sì che le
coppie, con il trascorrere del tem-
po, mettano in campo più o meno
consapevolmente delle modalità di
evitamento del conflitto che, pur
partendo dalla speranza di salvare il
rapporto da una possibile frattura, fi-
niscono invece nella migliore delle
ipotesi per posticipare l’inevitabile
impatto con situazioni conflittuali o
per costruire delle modalità di fun-
zionamento di coppia a volte alta-
mente disfunzionali.
L’evitamento del conflitto è defini-
to dalla Scabini (1995), che ripren-
de un lavoro di Raush e Barry
(1974), “come una modalità di rap-
porto che tenta di eliminare il con-
fronto mediante la negazione del
problema attuata con una distor-
sione della situazione che annulla
le differenze: in questo modo i due
partner evitano un confronto diret-
to. Benché le tecniche di evita-
mento, se usate massicciamente,
inibiscano la crescita e lo sviluppo
della relazione, precludano la pos-
sibilità di apprendere e di differen-
ziare alcuni aspetti dell’altro e così
di modificare la propria relazione,
non si può affermare in assoluto
che esse provochino una situazio-
ne coniugale distruttiva e instabile.
Povertà della comunicazione e in-
capacità di risolvere i problemi
congiuntamente, spesso non pre-
cludono possibilità di relazioni sog-
gettivamente soddisfacenti per i
partner. Alcune coppie sembrano
particolarmente abili nel mantene-
re modelli di evitamento, almeno
nei primi anni di matrimonio, senza
che insorgano per questo gravi
problemi. Queste coppie, nella loro
vita quotidiana, tendono ad evita-
re il coinvolgimento interpersonale”
(pagg. 258-259).
Pertanto, l’evitamento del conflitto
può non essere di per sé considera-
to come un elemento prognostica-
mente negativo, ma indubbiamen-
te colloca la coppia in una posizio-
ne di grande staticità che, a mio
parere, può essere conservata sen-
za che si creino disagi significativi
fintantoché non c’è l’arrivo del ter-
zo. I figli, difatti, obbligano i due ge-
nitori a doversi confrontare con una
terza entità che, anche quando è il
frutto del proprio amore, ma sap-
piamo che non è sempre così, è co-
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QUADERNI
DI
ORIENTAMENTO
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