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QUADERNI
DI
ORIENTAMENTO
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quisita in un dato contesto può essere
trasferita ad un altro? Quali sono le
condizioni, ostacoli e coadiuvanti di
un tale trasferimento? Tutti i tipi di
competenze (se esistono competenze
di altri tipi) obbediscono allo stesso
principio di trasferimento? Alcune
competenze sono costruite in modo ta-
le da essere "intrasferibili"?
In quest'ultimo campo, si dispone già
di un certo numero di informazioni. Ad
esempio, Yves Clot (1999), così come
Pierre Pastré, hanno mostrato che il ri-
conoscimento delle competenze da
parte dell'individuo non è immediato.
Dipende tra l'altro dai dispositivi di de-
lucidazione che gli vengono proposti.
Pierre Pastré conclude, dalle sue osser-
vazioni, che il discorso tenuto dalla
persona sulla propria attività ha un
ruolo importante nell'acquisizione da
parte della competenza di un carattere
trasferibile. Scrive che quando una
competenza è esplicitata, "un processo
d'analisi riflessiva da parte del sogget-
to, quindi di concettualizzazione, sfo-
cia in una decontestualizzazione del-
l'abilità, il che rende la competenza
adattabile e trasferibile ad altre situa-
zioni" (Pastré, 1999). La questione che
pone quest'osservazione è quindi
quella del ruolo delle forme d'intera-
zione dialogica nella formalizzazione
e forse anche nella costruzione della
"competenza".
Numerose domande fondamentali ri-
guardanti le competenze rimangono
dunque senza risposta. In mancanza, i
consulenti in bilancio delle competen-
ze non hanno altra soluzione che quel-
la di basare le loro pratiche sulle loro
credenze personali, sulle loro rappre-
sentazioni personali e sulle conoscen-
ze che essi possono basare sulle loro
proprie esperienze. Una tale pratica
pone problemi di natura deontologica.
Ed è su questo punto che desidero
concludere.
Conclusione: questioni deontologiche
Sei proposte sembrano poter riassume-
re i principali punti che ho appena
menzionato:
1 – Le questioni di orientamento sono
questioni di società. Sono il prodotto
di vari contesti sociali.
2- Tra questi contesti, quello delle for-
me di organizzazione del lavoro ha un
ruolo essenziale nella formulazione
stessa di queste domande.
3- Tenendo conto di questi contesti,
due questioni di orientamento determi-
nano le pratiche di orientamento
odierne:
- come aiutare l'individuo ad indivi-
duare e a sviluppare le sue competen-
ze?
- come aiutare l'individuo a fronteggia-
re numerose transizioni?
4- Definire delle pratiche di orienta-
mento che mirino a rispondere rigoro-
samente a queste domande presuppo-
ne la determinazione di finalità indivi-
duali e collettive di queste pratiche,
nonché l'avere a disposizione cono-
scenze e sapere nei campi considerati.
5 – Esiste un dibattito sociale sulle fi-
nalità delle pratiche di orientamento.
In ultima analisi, questo rinvia ad una
presa di posizione favorevole o sfavo-
revole al tipo di sviluppo economico
attualmente dominante.
6 – Oggi ci mancano precise cono-
scenze relative, da un lato, alla costru-
zione di sé e, dall'altro, ai vari modi di
formazione delle competenze e al loro
trasferimento.
Queste constatazioni, e più particolar-
mente le ultime due, indicano, mi
sembra, che gli esperti dell'orienta-
mento siano soli ed isolati, mentre de-
vono fronteggiare questioni particolar-
mente complesse.
In un tale contesto, c'è da considerare
il rischio che questi esperti sviluppino
delle pratiche che sfocino in risultati
lontani, a volte anche opposti, a quelli
cui mirano. Ad esempio, si ritiene ge-
neralmente che il chiarimento dell'im-
magine di sé sia un preliminare all'ela-
borazione di un progetto. Questo chia-
rimento sfocia su questioni e, trasci-
nando il soggetto in un processo dina-
mico, deve di solito facilitare il suo svi-
luppo personale.
Ci si può chiedere se tutte le pratiche
di aiuto alla conoscenza di sé hanno
effettivamente questo effetto. Non è
impossibile che alcune di esse abbiano
piuttosto un effetto contrario ed impo-
veriscano l'immagine di sé e la stabi-
lizzino precocemente incitando ad
un'interiorizzazione della situazione
attuale.
Per aiutare il soggetto a conoscere se
stesso, gli viene spesso chiesto di de-
scriversi tramite domande formalizza-
te: liste di aggettivi o questionari d'in-
teressi. Così facendo, si colloca su trat-
ti generici. Questi tratti non prendono
in considerazione tutti gli aspetti della
personalità, anche quando sono ele-
menti di un sistema che copre un cam-
po molto vasto. Non ci sono interessi
religiosi nella tipologia di Holland
(1966, 1973) e la teoria dei big five
(Norman, 1963) ignora l'internalità-
esternalità del controllo. Le domande
operano dunque una riduzione del
campo dei possibili e portano il sog-
getto ad incentrarsi sulle dimensioni
che gli vengono imposte e che, per lui,
non sono forse le più pertinenti.
Esiste un secondo rischio dell'aiuto al-
la conoscenza di sé: quello di mirare
ad una stabilizzazione in una certa im-
magine di sé allo scopo di favorire, in
particolare, una decisione. In effetti,
aiutare lo sviluppo personale significa
facilitare lo sviluppo del concetto di
sé. Ma d'altra parte, le decisioni pre-
suppongono una relativa stabilizzazio-
ne del concetto di sé. Si è in presenza
di un paradosso: bisogna aiutare la sta-
bilizzazione del concetto di sé per per-
mettere al soggetto di decidere, ma bi-
sogna anche facilitare i cambiamenti
del concetto di sé! Ora, cercando di
stabilizzare il concetto di sé, si corre il
rischio non solo di frenare lo sviluppo,
ma anche e soprattutto di incitare il
soggetto ad interiorizzare la sua attua-
le situazione.
I lavori sperimentali effettuati da Liset-
te Portnoi (2002) mostrano che questi
due fenomeni (di accentramento del-
l'individuo su dimensioni che gli ven-
gono imposte e di stabilizzazione del
concetto di sé) si manifestano bene in
presenza di sequenze di auto-valuta-
zione proposte agli adolescenti (utiliz-
zando questionari tratti dalla teoria del
big five).
I rischi menzionati sopra sono quindi
ben reali. Si potrebbe menzionarne al-
tri. Ad esempio, la non-direzionalità
apparente di numerose pratiche di
orientamento è oggetto di interrogativi.
Si sa, dal famoso esperimento di Kurt
Lewin, effettuato all'inizio degli anni
40 (Lewin, 1943, 1978), che è più fa-
cile modificare i comportamenti degli
individui portandoli a prendere collet-
tivamente e apparentemente libera-
mente delle decisioni, piuttosto che
cercando di convincerli presentando
loro argomenti razionali. Partendo da
questo lavoro iniziale, numerosissime
ricerche hanno dimostrato che si pote-
va modificare i comportamenti dei
soggetti incoraggiandoli a prendere "li-
beramente" piccole decisioni, decisio-
ni che li impegna e alle quali si atten-
gono in seguito razionalizzandone le
conseguenze (cfr. Joule et Beauvois,
1998). Ci si può chiedere se tali pro-
cessi d'influenza "diffusa" non siano al-
l'opera nelle pratiche di aiuto all'orien-
tamento.