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QUADERNI
DI
ORIENTAMENTO
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• la forte influenza dei riferimenti cul-
turali e delle pratiche professionali
maturate in altri paesi, in particolare
in Francia, che resta a tutt’oggi per
l’Italia il punto di riferimento più dif-
fuso da un punto di vista del trasferi-
mento di “buone pratiche”.
Sul piano delle scelte operative, l’evo-
luzione dell’orientamento è stata carat-
terizzata da una progressiva dissemi-
nazione degli interventi e da un am-
pliamento delle professionalità.
Fra la metà degli anni ’80 e l’inizio di
quelli ’90 si è assistito, soprattutto in
alcune regioni del centro-nord (fra cui
il Friuli-Venezia Giulia), alla nascita di
nuovi servizi dedicati promossi dalle
Amministrazioni Locali che hanno fun-
zionato come laboratori sperimentali
di nuove pratiche.
La seconda metà degli anni ’90 ha cor-
risposto al massimo di espansione dei
diversi sistemi (scuola, università, for-
mazione professionale, servizi per
l’impiego) che sono stati chiamati ad
occuparsi di orientamento da una im-
portante e prolungata serie di interven-
ti legislativi (progetti e/o leggi di rifor-
ma a livello nazionale, leggi regionali,
documenti programmatici di indirizzo,
ecc.); ogni sistema è stato legittimato
nell’esercizio di una funzione orienta-
tiva fino al punto, in alcuni realtà (non
è il caso del Friuli-Venezia Giulia), di
mettere in crisi la funzione di quelle
strutture dedicate che inizialmente
avevano costituito le sedi privilegiate
di sperimentazione delle pratiche
orientative innovate.
Gli inizi degli anni 2000 stanno facen-
do emergere la necessità di un raccor-
do fra i diversi soggetti in campo, per
evitare dispersione di energie e risorse
e per rispondere in maniera più preci-
sa ai differenti bisogni dei diversi target
di destinatari dell’orientamento.
In questa implementazione diffusa di
attività di sostegno al processo di auto-
orientamento di giovani ed adulti, ogni
sistema rischia di essere auto-referen-
ziale a se stesso nel tentativo di difen-
dere la propria legittimità ed, in alcuni
casi, esclusività di azione. Ogni siste-
ma mette in campo le proprie risorse
umane e, attraverso percorsi di forma-
zione e riconversione professionale,
produce quell’esercito di ventimila
“orientatori” che è stato censito dal-
l’ultima indagine nazionale (Malizia
G., Del Core P., Sasti S., Pieroni V.
(1999), Seconda indagine nazionale
sui servizi di orientamento, Ministero
del Lavoro e della Previdenza Sociale,
Roma).
La pluralità di iniziative (sperimenta-
zioni, progetti, servizi, strumenti, ecc.)
maturate sul campo rappresenta oggi
una ricchezza per la comunità profes-
sionale dell’orientamento, ma compor-
ta anche dei rischi. In primo luogo,
una ridondanza e sovrapposizione di
iniziative nei confronti di alcuni target
(con relativo spreco di risorse umane
ed economiche) e una scarsa chiarez-
za sulla specificità degli obiettivi con-
nessi alle singole azioni rispetto alla
funzione del contesto che le eroga e ai
bisogni dei diversi interlocutori. In se-
condo luogo, il consolidamento di fat-
to (e quindi acritico) di interventi di
orientamento a carattere generico
(aspecifici rispetto alle finalità dei con-
testi che li attivano e ai bisogni dei de-
stinatari) e, come tali, non in grado di
portare un reale valore aggiunto ai pro-
cessi di transizione formativa e lavora-
tiva dei diversi target di destinatari, e
l’utilizzo improprio (e quindi ineffica-
ce) di metodologie ed approcci basati
su presupposti non pertinenti con gli
obiettivi delle azioni e con le richieste
dei destinatari.
L’esigenza di arrivare ad una ridefini-
zione del rapporto fra tipologia di in-
tervento (pratica professionale) e biso-
gni orientativi di specifici target è da
collegarsi proprio ai tentativi di allar-
gamento delle azioni/servizi di orienta-
mento rivolti agli adulti (e ai lavoratori
disoccupati, in primo luogo), tentativi
che dimostrano a tutt’oggi la loro de-
bolezza per la confusione delle profes-
sionalità in gioco (orientatori qualifica-
ti, operatori della formazione profes-
sionale, operatori dell’inserimento la-
vorativo, ecc.) e per la scarsa finalizza-
zione dei diversi servizi (colloquio
orientativo D.L.181, bilancio di com-
petenze, interventi di outplacement,
ecc.).
Nei confronti degli adulti vengono
messe in campo una serie di attività
che implicano una componente (fun-
zione) orientativa di diversa natura e
portata; solo alcune di esse si possono
definire orientative in senso proprio,
ma altre hanno comunque a che fare
(prevalentemente come effetto indiret-
to) con il processo di orientamento. In
altre parole, sembra pertinente l’ipote-
si che principalmente nei confronti di
target adulti (lavoratori occupati e di-
soccupati) l’azione orientativa si possa
distribuire lungo un continuum che va
da un polo di attività con bassa speci-
ficità professionale per arrivare sull’al-
tro polo ad interventi ad alta specificità
professionale. L’obiettivo primario del-
le azioni ad alta specificità è legato al-
la motivazione personale nei confronti
di un processo di riorganizzazione del
sé professionale (con effetti conse-
guenti sulle scelte comportamentali);
l’obiettivo primario delle azioni a bas-
sa specificità è conseguente alla ricer-
ca di soluzione alla domanda di lavo-
ro (con ricadute indirette sui compor-
tamenti e sulle scelte).
Un primo obiettivo dell’orientamento
in questo momento ha a che fare con
la necessità di mantenere integrato il
processo di orientamento scolastico e
professionale, arrivando tuttavia a di-
stinguere alcune specificità sia in riferi-
mento ai bisogni dei diversi target sia a
partire dalle caratteristiche dei diversi
contesti di erogazione degli interventi.
In altre parole, pur accettando i sugge-
rimenti europei sulla unitarietà del
processo, se prendiamo in esame l’età
e la condizione sociale dei destinatari
si rende necessario distinguere delle
“buone prassi” maggiormente in grado
di sostenere le scelte scolastico-profes-
sionali dei giovani ed altre capaci di
accompagnare le transizioni sul lavoro
degli adulti. Entrambe queste tipologie
di buone prassi hanno a che fare con il
processo di auto-orientamento della
persona e come tali devono essere
identificate come orientative.
Più in generale, si prefigurano almeno
tre macro-tipologie di attività orientati-
ve:
• alcune propedeutiche e/o comple-
mentari al processo orientativo vero
e proprio (un esempio per tutte, ma
non esaustivo, può essere quello
dell’informazione orientativa e della
didattica orientativa nella scuola);
tali attività interessano sia i giovani
che gli adulti, la scuola-università, la
formazione professionale ed i centri
per l’impiego; gli studenti, gli inoc-
cupati, i disoccupati, coloro che de-
siderano cambiare lavoro;
• altre di accompagnamento dei per-
corsi individuali sia di formazione
che di lavoro, finalizzate ad aumen-
tare la capacità di auto-monitorag-
gio in itinere dei propri comporta-
menti e delle condizioni esterne; ta-
li bisogni sono espressi dagli studen-
ti (della scuola, dell’università, della
formazione professionale) durante il
loro iter formativo, ma riguardano
anche i lavoratori (occupati e, so-
prattutto, disoccupati) nel corso del-
la propria attività; queste azioni han-
no a che fare con i bisogni di orien-
tamento espressi dalla persona non
nei momenti di scelta; ridurre tutta
l’attività orientativa alle azioni con-
sulenziali finalizzate alla progettua-
lità formativa e professionale risulte-
rebbe estremamente riduttivo e la-
scerebbe insoddisfatti i bisogni di