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QUADERNI
DI
ORIENTAMENTO
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Altre difficoltà hanno come origine la
mancanza di conoscenze precise rela-
tive, da una parte, alla costruzione di
sé e, dall'altra, alla nozione di compe-
tenze.
Certo, esistono modelli generali in
questo campo. Qualche anno fa, quel-
lo di Donald Super (1980) del "Life-
space, life-span career development"
sarebbe stato volentieri citato. Oggi, ci
si riferisce forse più spesso al modello
della "life-span developmental psycho-
logy" di Paul Baltes. Tuttavia, questi
modelli, come fa notare Paul Baltes
(1987) stesso, formano prima di tutto
un insieme di proposte teoriche che
costituiscono un quadro d'azione ge-
nerale per gli esperti. Vuol dire che
contengono assai poche "leggi" che de-
scrivono regolarità empiricamente os-
servate.
Menzionerò qui brevemente le que-
stioni relative alla costruzione di sé per
sviluppare un po' di più il punto ri-
guardante le competenze.
II. 2.1 Un sé "relativamente malleabi-
le"
Trattandosi di concezioni dell'indivi-
duo e della sua evoluzione, il punto
importante da rilevare è che, nel corso
di questi ultimissimi anni, siamo passa-
ti, almeno in una certa misura, da con-
cezioni che insistono sulla stabilità
della personalità a visioni che conside-
rano il sé come relativamente mallea-
bile.
I modelli che insistono sui grandi fatto-
ri della personalità (ad esempio la teo-
ria dei "big five"; Norman), sulle grandi
dimensioni del funzionamento intellet-
tuale (modello di Horn e Cattell, 1966,
ad esempio) o sugli stili individuali di
trattamento dell'informazione (vedere,
ad esempio, Huteau, 1987) hanno pre-
valso a lungo. Tendono a considerare
l'individuo come se possa essere de-
scritto da tratti, da dimensioni o da "sti-
li" stabili, permettendo di spiegare la
sua capacità di compiere questo o
quell'incarico, le sue decisioni, i suoi
comportamenti, ecc.
Questi modelli non sono scomparsi.
Oggi altri occupano tuttavia una posi-
zione più saliente. Questi ultimi insi-
stono sulla relativa malleabilità di sé o
dell'identità dell'individuo o ancora
sulla sostituzione dei processi che è
suscettibile di attuare (Reuchlin, 1978,
1999). Questi approcci sottolineano il
ruolo delle interazioni tra l'individuo e
i contesti intricati nei quali egli occupa
alcune posizioni, assume alcuni ruoli
ed agisce. La teoria dello "sviluppo
ecologico" di Urie Bronfenbrenner
(1979) può essere considerata come il
prototipo di questi modelli. Alcuni
concetti occupano oggi un posto im-
portante in questa famiglia di approc-
ci. Si parla così di "sé sociali" (Burkitt,
1991) e di "sé semeiotico" (Wiley,
1994). Si sottolinea l'importanza della
diversità degli ancoraggi sociali nella
costruzione di sé nelle "forme d'iden-
tità vicarianti" (Guichard, 2001). Conti-
nuando le riflessioni di Paul Ricoeur
(1985, 1990), ci s'interroga sui ruoli
delle "messe in racconto" nella costru-
zione delle identità narrative (Déma-
zières & Dubar 1997; Sugarman,
1996), ecc.
Nonostante il carattere euristico di
questi approcci, giocoforza è di con-
statare che - finora - sono stati prodotti
assai pochi dati empirici che siano per-
tinenti per gli esperti dell'orientamen-
to.
II. 2.2 La costruzione delle competen-
ze
Le questioni della formazione delle
competenze e del loro trasferimento
sono evidentemente centrali nelle pra-
tiche di bilancio.
La difficoltà fondamentale è che, se la
nozione di "competenze" rinvia giusta-
mente ad una rappresentazione socia-
le, non ha dato finora luogo all'elabo-
razione di una teoria o di teorie che
permettano di produrre dati empici in
grado di mettere in evidenza i vari fat-
tori e processi che intervengono nella
costruzione di queste competenze.
La spiegazione del successo o del fal-
limento in termini di competenze in-
corporate costituisce dunque per
adesso un modo di spiegazione di-
sposizionale, socialmente ammesso.
Per dirlo in modo brutale: crediamo
nella virtù della spiegazione tramite le
competenze. Ammettiamo di dire:
"questa persona adempie a questo
compito perché ha questa predisposi-
zione – ad esempio la competenza di
cooperare efficacemente con gli altri
– necessaria alla realizzazione di que-
st'incombenza".
Ora, una spiegazione disposizionale
non diventa necessariamente una spie-
gazione scientifica. Lungi! Jacques
Bouveresse lo ricorda, citando Willard
van Orman Quine: "come l'ha fatto no-
tare Quine, una spiegazione disposi-
zionale assomiglia ad un riconosci-
mento di debito che si spera possa es-
sere assolto come lo fa il chimico, per
un predicato disposizionale come "so-
lubile in acqua", tramite la descrizione
di una proprietà di struttura corrispon-
dente" (Bouveresse, 1995, pp. 592-
593).
Trattandosi della costruzione e del tra-
sferimento delle competenze, siamo
lungi dal disporre di descrizioni struttu-
rali di questa natura. Per riuscirci, con-
verrebbe procedere ad un lungo lavoro
di costruzione teorica di concetto di
competenze che rinvii a studi empirici
precisi. Per adesso, la parola competen-
za rinvia ad una nozione relativamente
polisemica. Claude Lemoine (2002, p.
21) osserva: "la nozione di competenza
ha sostituito le nozioni precedenti di at-
titudine, di capacità e di qualifica, inte-
grandovi l'idea di mobilizzazione, di
motivazione e, in seguito, d'impegno e
d'implicazione, e riprendendo l'antico
riferimento di Béhaviour di comporta-
mento osservato dall'esterno o risposta
comportamentale".
Le domande intorno a questa nozione
sono in effetti numerosissime. Citiamo-
ne alcune:
- Cosa comprende esattamente il ter-
mine competenza? Conviene conser-
vare questa nozione nella sua globalità
oppure bisogna differenziarla per pren-
dere in considerazione dei "tipi di
competenze" di essenze diverse (ad
esempio: competenze essenzialmente
legate ai contesti ed altre che rimanda-
no ad "abilità" che richiedono un lun-
go apprendimento)?
- Se questa nozione di competenze de-
ve essere differenziata, in funzione di
quali criteri fondamentali differenziar-
la? Ad esempio, è necessario ritenere
come criterio i processi fondamentali
in gioco nella sua costruzione: quelle
che si acquisiscono identificandosi ad
un modello, quelle che suppongono
un lungo allenamento, quelle che sup-
pongono quel tipo particolare di ap-
prendimento, ecc.?
- Come rendere conto della genesi di
ciascuno di questi vari tipi di "compe-
tenze"? Se, come viene postulato, lo
sviluppo di alcuni tipi di competenze è
strettamente legato alle interazioni in
un contesto di lavoro, allora quale par-
te, nella loro costruzione, attribuire
agli elementi propri di questo contesto:
caratteristiche e rappresentazioni pro-
prie a ciascuno degli individui, rela-
zioni interindividuali, organizzazione
formale ed informale di questo conte-
sto, interlocuzioni, azioni individuali
ed interazioni, ecc.?
Trattandosi, questa volta, di pratiche di
bilancio di competenza, una di queste
domande è essenziale:
- In quale misura una competenza ac-
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