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QUADERNI
DI
ORIENTAMENTO
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"esemplare", contrariamente al fordi-
smo in particolare. Ci si può tuttavia
interrogare sui motivi di questa onni-
presenza. Non sarebbe forse dovuta al-
l'ambiguità della nozione di "compe-
tenze"?
Questo termine indica in effetti tanto le
abilità, le capacità e i comportamenti
richiesti e/o progressivamente trasfor-
mati in un contesto di lavoro (o extra-
professionale) quanto l'insieme delle
abilità richieste per fronteggiare una
transizione. Ora, nel primo caso, ci si
colloca in una prospettiva di costruzio-
ne personale a lungo termine. Nel se-
condo, anche se questa dimensione
non viene esclusa, rimane secondaria
rispetto al problema immediato dell'in-
dividuo: "fronteggiare" una situazione
a volte molto difficile. Tornerò in se-
guito su questo punto.
II. La determinazione delle pratiche di
orientamento
Come abbiamo appena visto, quattro
grandi questioni hanno organizzato le
pratiche di orientamento professionale
dall'inizio del 20esimo secolo:
- come abbinare l'individuo ad una
professione?
- come abbinare l'individuo ad una si-
tuazione di lavoro?
- come aiutare l'individuo ad indivi-
duare e a sviluppare le sue compe-
tenze?
- come aiutare l'individuo a fronteg-
giare numerose transizioni?
Tali domande non indicano le pratiche
che conviene sviluppare per risponder-
vi. Le pratiche hanno in effetti una cer-
ta finalità che supera l'obiettivo al qua-
le mirano immediatamente. Per di più,
perché queste pratiche siano adeguate
ed efficaci, presuppongono sapere ed
un certo numero di conoscenze.
Per illustrare questo punto, fermiamoci
un attimo sulla prima domanda dell'o-
rientamento professionale: "come ab-
binare l'individuo ad una professione?"
Definire delle pratiche di orientamento
che rispondano a questa domanda pre-
suppone, in un primo momento, di
trattarne un'altra relativa alle finalità:
"in vista di che cosa realizzare questo
abbinamento?". Come ho ricordato
precedentemente, è ciò che fece Alfred
Binet. Secondo lui, la finalità ultima è
quella di costruire una società giusta
(che s'ispira evidentemente al modello
della Città perfetta descritta da Platone
nella sua opera La Repubblica). Biso-
gna realizzare una società che non co-
nosca tumulti sociali, poiché ognuno
sarà felice di viverci, nel posto corri-
spondente al suo potenziale.
Tenendo conto di queste finalità, allo
stesso tempo sociali (la giustizia) ed in-
dividuali (la felicità), di conseguenza,
conviene da una parte sviluppare una
teoria scientifica che permetta di espli-
citare i legami fondamentali tra i po-
tenziali degli individui e le qualifiche
delle professioni, e dall'altra instaurare
precise pratiche di orientamento fon-
date su questa teoria. Saranno la teoria
delle attitudini e la pratica della con-
sultazione di orientamento.
Quest'esempio manifesta l'intrico fon-
damentale, nel campo delle pratiche di
orientamento:
- delle questioni di società,
- delle considerazioni sulle loro fina-
lità sociali ed individuali,
- della realizzazione di modelli scien-
tifici.
Gli interrogativi maggiori riguardanti le
attuali pratiche dominanti nell'orienta-
mento – in particolare quelli del bilan-
cio di competenze – provengono pro-
babilmente dalla debolezza delle ri-
flessioni relative alle loro finalità e da
un certo deficit di conoscenze in que-
sto campo. Sono questi i due punti che
vorrei menzionare adesso.
II. 1 La questione delle finalità ultime
– sociali ed individuali – dei bilanci di
competenze
La questione delle finalità delle prati-
che di bilancio di competenze può es-
sere formulata così: "in vista di che co-
sa 'aiutare gli individui ad individuare
e a sviluppare le loro competenze?".
Giocoforza è di constatare che ci sono
raramente dibattiti su questo tema. For-
se perché le posizioni sono molto net-
te. Si possono in effetti distinguere
quattro categorie di discorso su que-
st'argomento. Il primo può essere rias-
sunto nel seguente modo:
II. 1.1 Adattare l'individuo alle esigen-
ze del lavoro e della competizione
economica odierna
In questo discorso, la nozione di flessi-
bilità è centrale. Questa flessibilità si
riferisce sia a quella dell'impiego che a
quella del lavoro (Paugam, 2000).
Quest'approccio considera infatti che,
tenendo conto della competizione
economica, all'individuo non può più
essere assicurato un impiego per un
periodo relativamente lungo: deve per-
ciò essere flessibile in fatto di ricerca di
lavoro e deve essere pronto ad adattar-
si ad altre situazioni professionali.
D'altra parte, tenendo conto dei nuovi
metodi d'organizzazione del lavoro, il
suo lavoro è meno precisamente defi-
nito di quanto lo era prima. Il lavorato-
re deve fronteggiare domande profes-
sionali inattese: il suo lavoro è flessibi-
le. Deve, se necessario, sviluppare
nuove competenze per svolgerlo.
Il segretario generale di un sindacato
di impiegati francese osservava così,
nel 1997, che "siamo in un mondo do-
ve il contratto a tempo indeterminato è
(…) uno statuto in via d'estinzione" (de
Calan, 1997, p. 208) e che, di conse-
guenza, la finalità dell'orientamento è
quella di "preparare i giovani alla fles-
sibilità". Il bilancio di competenze vie-
ne visto, in questa prospettiva, come
una tecnica fondamentale che permet-
te all'individuo di mantenere e di svi-
luppare la flessibilità richiesta dalla
competizione economica odierna.
Questa concezione di adattamento
dell'orientamento prende a volte una
forma un po' più "umanista". Viene an-
che talvolta considerata in maniera più
cinica. Nel primo caso, si considera
che la finalità è quella di uno sviluppo
individuale ottimale. Nel secondo, vie-
ne sottolineato che queste pratiche mi-
rano prima di tutto a mantenere l'ordi-
ne sociale.
II. 1.2 Permettere uno sviluppo indivi-
duale ottimale nell'ambito di una
competizione mondiale in termini di
risorse umane
La finalità di uno sviluppo ottimale
delle potenzialità di ognuno – in deter-
minati contesti sociali – è certamente
quella più spesso menzionata in mate-
ria di pratiche di orientamento. Così, la
legge francese del 1991, relativa al bi-
lancio di competenze, precisa che ha
lo scopo di permettere al beneficiario
"di gestire al meglio le sue risorse per-
sonali".
Quest'ultimo è dunque considerato
come un attore sociale che, tenendo
conto delle esperienze che vive nei va-
ri contesti in cui interagisce, sviluppa
delle "competenze" nuove che può in-
dividuare, formalizzare e trasferire ad
altri contesti. Si tratta quindi, per que-
st'attore, di porre in prospettiva le sue
competenze in relazione alle intenzio-
ni che sono sue per stabilire quali sia-
no le vie – essenzialmente professiona-
li – che può prendere.
Questa concezione di una persona re-
sponsabile, che fa il punto nel modo
più razionale possibile, ha innegabil-
mente una connotazione umanista.
Ciò nondimeno è strettamente legata
al modello della flessibilità, nel senso
che ha per principio l'adattamento alle
esigenze della competizione economi-
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