82
SPAZIO APERTO
pedagogici”
. Mi era parsa una presa d’at-
to, sconfortata e sconfortante, certo,
ma puntuale, dei tempi difficili e incerti
che abitiamo. Quel convegno, la folta e
attenta partecipazione di tanti operatori,
gli importanti contributi dei relatori, il fa-
ticoso eminuzioso lavoro di tessitura del
professor Santamaria che ha coordinato i
lavori, è stato, anche, un tentativo di pen-
sare, ritrovare, riscoprire, forse rievocare,
certo risentire, altre parole, consapevoli
che i rapporti pedagogici non riguarda-
no solo le scuole, ma investono l’intera
rete dei rapporti sociali. E così è stato,
grazie agli autorevoli contributi, espe-
rienziali e teorici, duplicità
conveniente
ai temi dell’educazione, tutti senz’altro
d’accordo nel considerare la scuola luogo
centrale per l’apprendimento non solo
o non tanto di saperi curriculari, bensì
delle competenze per stare al mondo e
per starci in relazione agli altri.
Se per i più ciò può considerarsi scon-
tato, per alcuni non lo è: non è scontato
che la scuola riesca nell’intento di com-
binare ai saperi curriculari le competenze
negoziali, non è scontato che tutti, allo
stessomodo dei più e nei medesimi loro
tempi, apprendano quei saperi e quelle
competenze, spesso perché impegnati,
anima e corpo, verrebbe da dire, con la
propria esperienza di vita: esperienza
di sé, tra molte incertezze, esperienza
delle molte inadeguatezze di genitori e
familiari, esperienza del passato e del
presente e troppo poco del futuro (in
fondo, il lavoro sull’
orientamento
è invito
al confronto con il futuro, con il possibile).
“Non uno di meno” è un tentativo di
connessione tra “realtà” diverse – la loro,
delle ragazze e dei ragazzi dei quali ci
siamo occupati, e la nostra, di operatori
– e tra universi di senso. E’ questione di
tecniche, di didattiche, di modelli peda-
gogici, di politiche sociali, di qualità degli
interventi dei servizi sociali, educativi e
sanitari. In fondo, si tratta di stato socia-
le, o di quel che ne rimane, e perciò delle
risorse disponibili e impiegabili.
Per continuare a occuparci bene e util-
mente di queste questioni, com’è stato
sin qui, sarà necessario un accordo forte
e stabile con la scuola. Da subito, quan-
do il progetto era ancora agli albori, s’è
toccato con mano che se ogni singolo
abbandono scolastico era una storia,
ogni storia rimandava a contesti familiari
disfunzionali. L’assenza da scuola di ra-
gazze e ragazzi – scuola come spazio re-
ale, mentale, sociale, culturale, destinato
alla formazione – metteva in luce le dif-
ficoltà dell’istituzione scolastica, quelle
delle famiglie e l’incerta lettura dei servizi
al cospetto di fragilità, timori, rifiuti. Si
capì, anche, che non era possibile ripren-
dere a frequentare come se non pesasse
non aver frequentato per anni, come se
contasssero niente le storie personali e
familiari che modellano, comprimono e
disorientano lamotivazione a star seduti
a imparare, apprendere, concentrarsi,
stare con gli altri, negoziando con essi
come si sta al mondo.
Non somolto di didattica, e per lavoro
mi sono concentrato sulla dimensione
generale dell’educazione in contesti fa-
miliari e comunitari. Mi interessano le
storie e le abilità di raccontatori di storie
delle persone, il modo narrativo che ab-
biamo, noi umani, di stare al mondo. Allo
sguardo pedagogico col quale investo il
mondo vivo di “Non uno di meno”, ap-
pare, oggi, un concentrato di storie che
vuole farsi storia che reclama continuità.
Per proseguire, però, con un progetto
che tiene in considerazione il soggettivo
punto di vista di ogni ragazza e di ogni
ragazzo con un’enfasi motivata dal fatto
che in precedenza il loro punto di vista è
stato ignorato, frainteso, addirittura ne-
gato, sarà necessario che accanto a noi
anche altri prenda l’impegno di occupar-
sene, di farsene carico, di assumersene
la responsabilità. Le ragazze e i ragazzi
di cui parliamo non sono “figli dei servi-
zi”, o meglio: lo sono, anche, certo; ma
soprattutto sono figli della scuola e, ci
mancherebbe, delle famiglie.
Ciò significa che è essenziale convenire
con l’istituzione scolastica, formalmente,
oltre che nella pratica, che i programmi
“scolastici” dei ragazzi di “Non uno di
meno” non possono che essere adattati
alle loro esigenze e
piegati
alle qualità dei
progetti educativi che li accompagnano;
che siano previste periodiche verifiche