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ORIENTAMENTO E SOCIETÀ
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so dell’integrazione sociale, ma come
una fonte di “conflitti di valore virtuo-
si”, significa anche attuare un ulteriore
cambiamento di prospettiva. Tale tra-
sformazione consiste nel riformulare la
concezione, tipicadelmodello integra-
zionista, per cui differenza e solidarie-
tà vadano considerate come polarità
opposte ed inconciliabili. Questo mu-
tamento di approccio permette anche
di connettere interventi finalizzati al
dialogo culturale (Todorov, 1990), con
azioni che hanno come obiettivo la
prevenzione del disagio. Nella società
postmoderna, infatti, il disagio, spe-
cie in agenzie di socializzazione come
la scuola, non nasce esclusivamente
da problemi relativi alla struttura del-
la disuguaglianza, ma deriva sempre
più da una gestione “patologica” della
differenza. Questo passaggio compor-
ta approcci diversi. L’obiettivo di una
società di “eguali” è il superamento-
annullamento, o sono le strategie di
scansamento del conflitto. L’obiettivo
di una società di “pari differenti” divie-
ne l’accettazione-comprensione del
conflitto (Ungaro ,2001; 2004a) che im-
plica il coraggio e l’umiltà di attraversa-
re e comprendere tale tensione.
Nel primo caso, con molta proba-
bilità, l’alterità diventa una parte non
considerata, non ascoltata della socie-
tà che facilmente, prima opoi, potreb-
be emergere, farsi sentire in forma più
o meno violenta, in modo simile ad
un trauma rimosso o ad un conflitto
inespresso, latente. Nel secondo caso,
diverrà parte espressa nel sociale con
il quale entrerà in dialogo più o meno
conflittuale, ma palese e dunque
maggiormente gestibile, generando
così nuove possibilità e diventando
elemento di possibile ed auspicabile
sviluppo reciproco. In genere, espri-
mere un disagio venendo messi nel-
la condizione di poterlo fare, risulta
essere il primo passo per risolverlo e
questo diminuisce la tensione e favo-
risce lo scambio.
Queste tematiche conducono ad
una tipologia educativa fondata
sull’idea-forza che può essere deno-
minata “il Sé e l’Altro”. Il diverso che
può pormi in questione (per dirla
alla Carl Schmitt), diviene occasio-
ne di costruzione e comprensione
anche della propria identità, poiché
è solo nel rapporto con l’altro da
sé che gli individui possono distin-
guersi, vivere e dichiarare la propria
appartenenza. Da questo punto di
vista, differenza e solidarietà non
sono più polarità contrapposte, ma
possono essere intese come aspetti
complementari. L’incontro con la di-
versità diviene così una grande oc-
casione che ci fa scendere qualche
gradino, andare un po’ più in fondo
a noi stessi, per ritrovare quel tesoro
di risorse che avevamo dimenticato
sepolto dalla polvere dei nostri quo-
tidiani pregiudizi. Tutto questo non
può sorgere solo ed esclusivamente
in presenza di studenti stranieri; il
loro esserci tuttavia ci costringe ad
un confronto e ad una riflessione
su noi e gli altri che diviene fonda-
mentale occasione di crescita per
entrambi.
In questa ottica, inoltre, si rovescia
anche sociologicamente la categoria
stessa di normalità. Poiché essere ve-
ramente ‘normali’ non sembra avere
altro significato se non quello di sco-
prirsi diversi, speciali, unici (indivi-
duati), rispetto ad altri che sappiamo
riconoscere (divenendo quindi socia-
lizzati) come a loro volta unici, diversi
e speciali. Colui che ci mette in discus-
sione, che ci costringe al confronto ed
al contatto, dovrebbe perciò essere
non un nemico, ma l’amico per ec-
cellenza, che consente quella unione
senza la quale non vi può essere alcu-
na individuazione di Sé e nessun rico-
noscimento dell’Altro (socializzante).
Spesso affermiamo che è il nemico
che ci fa odiare pensando che l’Altro
possa in qualche modo essere re-
sponsabile di ciò che proviamo.
L’Altro è, per dirlo con una bellissi-
ma parola sanscrita
nirmit
che signifi-
ca strumento. È lo strumento, il mezzo
per far emergere ciò che c’é. Se in noi
c’è odio, l’incontro con l’Altro lo ren-
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