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QUADERNI DI
ORIENTAMENTO
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Tutto è già noto, quindi, ma va
ribadito, ri-detto con forza, se vo-
gliamo farlo venire ‘a galla’. Senza
quest’eco, senza il richiamo, anche
il ‘già noto’ abbandona il palcosceni-
co del mondo.
Queste riflessioni ci portano ad
avvicinarci al foro d’uscita di un
imbuto culturale che prende ora
forma di domanda:
cosa vuole farci
capire l’orientamento?
Qual è la cosa
che conosciamo già e che, però, ha
bisogno di un plus di spinta? Che
cosa accade e che cosa diventa il
plus quando l’orientamento sussul-
ta vicino alla fine? Cosa, quando il
suo paradigma appassisce e l’orien-
tamento muore?
L’ETIMOLOGIA DI MODA
La ricerca del filologo è stata as-
sunta, in un suo aspetto, ad argo-
mento di senso comune. La giusta
curiosità sui significati antichi dei
termini, necessaria per impostare
accettabili traduzioni, è divenuta
per molti la ricerca del vero signifi-
cato delle parole.
Così si dice per esempio: educare
deriva da
e-ducere
, condurre fuori,
trarre, e tutto, secondo chi sciorina
la propria cultura etimologica, tor-
na al suo posto. Ora sappiamo cosa
vuol veramente dire educare.
Orientare? Presto detto: sapere
dov’è l’oriente, il sole che sorge. Cioè,
fuor di metafora, trovare la via giusta.
Insomma, mettiamo insieme il
‘trarre fuori’ e la ricerca della ‘via
giusta’ e si ha il mito moderno della
realizzazione del sé.
Così, in ordine cronologico, hanno
avuto senso le ricerche iniziali di tipo
diagnostico/attitudinale
(cos’è già
pronto in te? Della serie ‘
Sii te stesso
’).
Una critica? Molti di noi sono po-
tenziali rocciatori, ma quanti hanno
intenzione di fare i rocciatori?
Il problema non viene quindi su-
perato, ma viene posto con mag-
gior forza dando vita alla ricerca
caratteriologico/affettiva
, tesa a far
emergere i veri interessi della per-
sona (se ciò che fai ti interessa, al-
lora lo farai bene). Ma come, negli
anni Cinquanta, non fare i conti con
l’inconscio? La via giusta per sapere
cosa vuoi c’è, ma la conosce solo lui
(l’inconscio) e la promuove dopo le
scelte compiute nei labirinti e abissi
del passato. In questo consiste l’ap-
proccio gemelliano
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. Indago con gli
strumenti dello psicologo psicodi-
namico (oltre ai colloqui, gli ameni
test proiettivi), cosa il tuo inconscio
veramente vuole.
La grande svolta (apparente, lo
stiamo ripetendo in un secondo
modo), si ha quando si passa da un
idea di etero-orientamento a quello
di un auto-orientamento.
Dall’esperto che sa leggere ciò
che hai in testa e suggerisce in qua-
le scuola andare, si passa all’idea
che la scelta professionale sia edu-
cata secondo interessi e scopi della
collettività. (Scarpellini e Strologo,
cit. in Pombeni, 1990).
Ora non c’è più un‘realìzzati’, ma un
contribuisci a realizzare ciò che va re-
alizzato
’. La decisione di cosa debba
essere realizzato sembrerebbe dele-
gata ad altro, sconosciuto, e potente
autore. Anche qui, però, c’è un ‘già
noto’, l’idea di normalità gerarchica
del mondo come di una istituzione,
cioè come di qualcosa che ‘è’, esiste,
come esistono il sole e le piante.
Il passaggio alla tappa successiva
è quasi obbligato: non puoi adattarti
al mondo che ti attende se non tra-
mite un lungo processo educativo.
Devi, insomma, imparare a stare al
mondo, questo mondo, vero e con-
creto e naturale. Non sono ‘momen-
ti’ orientanti quelli che ti servono,
ma una guida, un accompagnamen-
to, parallelo ai binari della vita, che ti
insegni a divenire un buon decisore.
Sfugge, anche stavolta, l’ossimo-
ro contenuto in quel ‘buon deciso-
re’. Esso dice a chiare e dure lettere
che non si può scegliere se non ciò
che ‘va bene’ e che non c’è quindi li-
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