Questa architettura neuropsicolo-
gica risulta particolarmente effi-
cace e protettiva per l’essere
umano; proprio attraverso questa
organizzazione viene di fatto atti-
vato una specie di ‘contenimento
del danno lesionale’, il tutto a fa-
vore e a salvaguardia del sistema
cognitivo più generale.
La neuropsicologia
dello Sviluppo
Fin quanto ora descritto si fonda
su due presupposti di base:
1) la possibilità di confronto tra
una funzione normale pre-
sente in un soggetto e la
stessa funzione danneggiata a
seguito di una lesione in altro
soggetto;
2) che tali funzioni in gioco ab-
biano raggiunto in ambedue i
soggetti un loro sviluppo e
maturazione completa e suc-
cessivamente sia intervenuto
un danno in una delle due.
Solo in presenza di questi ele-
menti è possibile attivare un con-
fronto, cioè esprimere una valu-
tazione qualitativa–quantitativa
del danno, di quanto di quella
funzione è rimasto integro, di
quanto è stato leso.
La neuropsicologia applicata allo
sviluppo, cioè a soggetti in età
evolutiva, comporta l’introdu-
zione di una nuova serie di varia-
bili cui bisogna tener conto e con-
seguentemente comporta l’elabo-
razione di ulteriori costrutti teo-
rici. Diversamente che per l’età
adulta, il campo di indagine in
cui essa viene applicata si caratte-
rizza per il fatto che in tali sog-
getti la funzione da esaminare
non ha ancora raggiunto il suo
sviluppo completo, per cui di-
venta particolarmente difficile
valutarne il danno; inoltre, in
senso stretto, è improprio parlare
di perdita di una funzione,
quando questa non ha ancora
completato il suo pieno sviluppo.
Per poter quindi studiare ed ana-
lizzare gli effetti di un possibile
danno in un soggetto in età evo-
lutiva bisogna ricorrere a dati
normativi statistici; ciò vuol dire
che in età evolutiva l’elemento
patologico del singolo soggetto
viene spesso definito non tanto
dall’aspetto patologico in sé ma
dalla deviazione che quel com-
portamento, quella funzione, mo-
strano di avere rispetto a per-
corso normativamente definito.
Purtroppo non sempre vi è la pos-
sibilità di disporre di un modello
del funzionamento cognitivo, de-
finito nella sua organizzazione,
per tutte le singole età dei poten-
ziali soggetti da esaminare;
questo sia per carenze nella ri-
cerca, che per l’impossibilità di
transitare ipso facto, dati da una
popolazione all’altra
1
.
Orientamento e società
QUADERNI
DI
ORIENTAMENTO
31
59
Le teorie sulla
modularità
Una grossa spinta in avanti, per
quanto attiene l’ambito della neu-
ropsicologia, si è avuta quando è
stata formulata una serie di nuove
ipotesi teoriche che si propone-
vano di superare il modello
rigido
della localizzazione della funzione:
sono queste le
teorie sulla modula-
rità
, (Fodor, 1983).
Secondo queste teorie le funzioni
mentali non sono compatte e mo-
nolitiche nella loro specificità fun-
zionale; esse sono costituite da una
sommatoria di singole parti, di sin-
goli elementi. Tali singoli compo-
nenti, a loro volta, sono portatori
di funzioni specifiche che sono col-
legate tra loro. Ciò comporta che,
nel caso un soggetto subisca una
lesione, la funzione colpita non è
detto che presenti un decadimento
massivo, ma diventerà critica
solo
per quella parte di modulo, o mo-
duli, che sono stati direttamente
interessati dalla lesione stessa.
LA NEUROPSICOLOGIA
A) è una disciplina che studia i processi mentali con lo scopo di:
1 ) capire qual è la struttura delle funzioni cognitive (architettura men-
tale);
2) capire qual è il rapporto fra queste strutture mentali e il funziona-
mento del cervello (architettura neurale);
B) essa ha trovato origine e si è sviluppata grazie agli studi e alle ricerche che
si sono interessate del confronto tra tali funzioni cognitive superiori pre-
senti in un soggetto che ha subito una lesione di tali funzioni e le stesse
presenti in maniera integra in altro soggetto;
C) questo confronto tra funzioni lesionate e funzioni integre ha portato
alla costruzione di una teoria sul funzionamento della mente e delle
relazione di questa con l’encefalo.