ne, sarebbe più corretto parlare di
una loro “riconversione”. È vero in-
fatti che la crescente fluidità e dere-
golamentazione del MdL, legata a
cambiamenti economici ed istituzio-
nali, ha reso disponibile un crescen-
te numero di cosiddetti “lavoretti”,
ovvero esperienze lavorative non
iscrivibili, nemmeno
ex post
, entro
percorsi professionali, e dettati uni-
camente da esigenze reddituali mi-
nime dei giovani lavoratori. Molti
pertanto, avendo alle spalle questo
tipo di esperienze di lavoro (volan-
tinaggio, somministrazione di inter-
viste, babysitteraggio, ecc.) non si
trovano formalmente alla ricerca di
una prima occupazione, ma è come
se lo fossero
13
. Più interessante, ri-
spetto alla ormai obsoleta distinzio-
ne tra inoccupati e disoccupati, ri-
sulta la differenziazione tra i diversi
profili sociali della disoccupazione
giovanile. La crescente complessità
della società fa infatti emergere di-
stinzioni rilevanti. Non sembrano
infatti facilmente assimilabili figure
come il drop-out che paga in termi-
ni di
deficit
di competenze l’antici-
pata uscita dalla scuola, la ventenne
ragioniera spiazzata da una satura-
zione dell’offerta nelle professioni
impiegatizie di sua pertinenza, il/la
venticinquenne-trentenne laurea-
to/a in discipline umanistiche,
spiazzato da un MdL che richiede
soprattutto profili tecnici.
Molto interessante risulta anche l’e-
mergere di una nuova categoria che
le statistiche tendono a “nasconde-
re”, ma che, per la sua rilevanza
quantitativa e qualitativa, gode
sempre più di uno statuto analitico
proprio. Si fa qui riferimento ai tan-
ti giovani che imboccano la lunga,
incerta, zizzagante strada dei lavori
precari (statisticamente tali lavora-
tori vengono classificati tra gli occu-
pati, ma di fatto, per molti aspetti,
sono assimilabili ai disoccupati). Si
tratta di una pletora di situazioni
occupazionali di varia natura, acco-
munate dal fatto di essere inquadra-
te in rapporti di lavoro fortemente
instabili e asfittici dal punto di vista
temporale, non soltanto perché re-
golati da forme contrattuali flessibi-
li, ovvero a tempo determinato e
molto frequentemente fuori dal rag-
gio di copertura del diritto del lavo-
ro (prestazioni d’opera occasionale,
collaborazioni coordinate e conti-
nuativa, partite Iva con monocom-
mittenza, ecc.); ma l’instabilità è da-
ta, ed esacerbata, anche dalla stessa
situazione di mercato, assolutamen-
te incerta, in cui versano le organiz-
zazioni che generano tali opportu-
nità di lavoro. Quest’area sociale è
oggetto di crescente attenzione da
parte degli analisti. Essa produce
nuove forme, quasi “clandestine”,
di marginalità, vulnerabilità o esclu-
sione sociale [Borghi 2002, Fullin
2002, Gallino 2001], come pure una
chiara difficoltà di allineamento tra i
sistemi di senso che governano la
vita sociale extra-lavorativa e quelli
che invece si impongono dentro il
MdL [Sennet 2001]. Più in generale
viene a determinarsi quella che Rey-
neri [2002, 336-340] descrive come
una lunga transizione verso il lavo-
ro stabile che coincide anche con
una lunga transizione verso l’età
adulta, i cui effetti sociali, nel medio
lungo periodo, possono essere di-
rompenti
14
. Peraltro non va trascura-
to il fatto che, anche all’interno di ta-
Orientamento e società
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QUADERNI
DI
ORIENTAMENTO
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23
Estate, 1955