te fisiologicamente dal MdL (la co-
siddetta disoccupazione “friziona-
le”) e, comunque, ben al di sotto dei
livelli che possono essere ritenuti
socialmente critici o, ancor peggio,
allarmanti.
Tale rilievo positivo trova molte-
plici conferme, a cominciare da
quelle desumibili confrontando la
situazione attuale con il passato.
Storicamente, a partire dagli anni
’80, la disoccupazione regionale
ha proceduto in maniera ondula-
toria, seguendo l’andamento con-
giunturale dell’economia. I perio-
di di crisi più profonda si sono re-
gistrati verso la metà degli anni
Ottanta e nel corso del primo
quinquennio del decennio scorso.
In particolare, i due picchi negati-
vi sono stati toccati nel 1987 e nel
1994, quando il tasso di disoccu-
pazione regionale aveva superato
il 9%, con un numero di disoccu-
pati superiore alle 45.000 unità. Il
dato relativo al 2002 costituisce
dunque il valore più basso dal
1980 in poi
7
. Nel passato venten-
nio, il MdL regionale ha fatto regi-
strare
performance
paragonabili a
quelle attuali soltanto nel 1991,
quando il tasso di disoccupazione
è sceso sotto il 6%. Ancor più
esplicative risultano le dinamiche
più recenti. In un solo quinquen-
nio la percentuale di disoccupati,
su scala regionale, si è quasi di-
mezzata (cfr. figura 1). Ciò si deve
ad una forte ripresa dell’occupa-
zione, avviatasi già a partire dal
1995, ulteriormente accelerata nel-
l’ultimo triennio. In questo lasso
di tempo il MdL regionale ha re-
cuperato quasi 50.000 unità occu-
pazionali, sfiorando la soglia dei
500.000 occupati. Per contro, l’of-
ferta di lavoro è cresciuta secondo
tassi di incremento meno pronun-
ciati. Di qui la forte erosione del
bacino di disoccupati, che è passa-
to dalle 37.000 unità del 1995 alle
attuali 19.000.
La positiva situazione occupazio-
nale del Friuli-Venezia Giulia è
confermata anche da un confronto
con quanto avviene nel resto d’I-
talia. La regione si colloca al quin-
to posto nella graduatoria relativa
ai più bassi tassi di disoccupazio-
ne, trovandosi sostanzialmente in
linea con regioni quali Emilia Ro-
magna (3,3%), Veneto (3,4%), Val-
le d’Aosta (3,6%), Lombardia
(3,8%). Il solo Trentino Alto Adige
si stacca, positivamente, da questo
gruppo, con un tasso di disoccu-
pazione che scende al 2,6%. Que-
sti dati si inquadrano in una situa-
zione generale dell’Italia che, co-
me è noto, è contraddistinta da un
forte dualismo. A fronte di tassi di
disoccupazione bassi o contenuti,
nelle regioni del Nord-Est (3,3%),
del Nord-Ovest (4,4%) e del Cen-
tro (6,6%), nelle regioni meridio-
nali ed insulari la percentuale di
disoccupati raggiunge soglie di
assoluto allarme sociale (18,3%)
8
.
Peraltro, la positiva situazione
della regione, trova una conferma
anche allargando il quadro com-
parativo attraverso confronti in-
ternazionali. Da questo punto di
vista, i bassi livelli di disoccupa-
zione del Friuli-Venezia Giulia
trovano riscontri analoghi in po-
chissimi altri casi in Europa [Gam-
buzza-Rasera 2003].
È difficile dire quanto la situazio-
ne appena descritta possa ritener-
si stabile, ovvero in che misura i
positivi risultati degli ultimi anni
siano suscettibili di peggioramen-
to in seguito al profilarsi di una
nuova congiuntura negativa del-
l’economia. Sono peraltro ricono-
scibili segnali che inducono a pen-
sare ad una possibile stabilizza-
zione (o ulteriore riduzione) della
disoccupazione. Infatti, dal punto
di vista della domanda, gli anni re-
centi hanno dimostrato che le aree
territoriali più dinamiche conti-
nuano a generare posti di lavoro in
maniera proporzionalmente supe-
riore alla crescita dell’economia
[Gambuzza-Rasera, 2003]. Da alcu-
ni, ciò è stato spiegato evidenzian-
do l’efficacia delle riforme che
hanno deregolamentato il MdL ed
hanno incentivato l’occupazione,
consentendo un uso più flessibile
della manodopera. Altri hanno in-
vece evidenziato la correlazione
tra l’incremento di occupazione e
la riduzione della produttività
[
ibidem
], connessa anche allo svi-
luppo di settori ad alta intensità
di lavoro, quali sono in genere
quelli dei servizi a cui è imputabi-
le larga parte dell’incremento oc-
cupazionale degli ultimi anni
[Gallino 1998, 141-156, Zucchetti
2001, 114]. In questo caso si tratta
di flussi occupazionali che posso-
no essere ritenuti stabili, nella mi-
sura in cui per loro natura (il luo-
go di produzione coincide con il
luogo di erogazione) non sono
esportabili presso altri sistemi
[Lafay 1998]. Ma l’ipotesi di stabi-
lità della disoccupazione, può es-
sere sostenuta anche e soprattutto
in considerazione di quanto av-
viene sul fronte dell’offerta. Preci-
samente, lo squilibrio demografi-
co della popolazione è di tali pro-
porzioni
9
che i bacini di offerta lo-
cale disponibile tendono a con-
trarsi. Viene quindi eliminato il
fattore demografico di spinta ver-
so l’alto dell’offerta, “vitale” fino
alla metà degli anni Novanta,
quando si è esaurita la carica pro-
pellente data dall’immissione nel
MdL dei cosiddetti
baby boomers
.
TRACCE E PROFILI DI DISOCCUPAZIONE
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QUADERNI
DI
ORIENTAMENTO
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