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Ma cos’è questo gruppo e cos’è
per lui questa sede?
E’ un gruppo di autoaiuto che si av-
vale attualmente della collabora-
zione di due operatori, il medico
ideatore e responsabile del proget-
to e un educatore.
Ha già cinque anni di vita, nel corso
dei quali ha avuto variazioni sostan-
ziali dei membri pur mantenendo
una sua coerenza di percorso. Ini-
zialmente il fattore aggregante so-
no state la tossicodipendenza e la
sieropositività, che accomunavano
la maggior parte dei suoi elementi.
Ora alcuni sono usciti dalla tossico-
dipendenza, altri hanno avuto un
sensibile miglioramento dal punto di
vista clinico; altri purtroppo sono
morti.
Il suo obbiettivo è promuovere, at-
traverso iniziative di diverso respiro,
Spazio aperto
coinvolgimento nei discorsi dei ra-
gazzi e nel loro impegno? Anche la
città, le sue istituzioni, iniziano a ri-
conoscere nel gruppo un interlocu-
tore. I ragazzi possono dire la loro, fi-
nisce quella povertà che è di chi
non ha voce su niente. La tenacia,
la tenuta, pagata da alcuni un
prezzo altissimo, alla lunga si rivela
vincente. Si arriva addirittura ad in-
dire un consiglio comunale per sta-
bilire o meno il patrocinio del Co-
mune all’apertura della sede. Al-
l’approvazione seguono fiaccolate
e petizioni di protesta di cittadini del
quartiere in cui sorgerà la sede dei
ragazzi. Tutto questo a significare
quanto la città comunque si sia mo-
bilitata intorno a questo gruppo,
quanto questo gruppo abbia per-
messo di far discutere i cittadini su
un problema come quello della tos-
sicodipendenza che spesso è esclu-
sivamente materia di cronaca ne-
ra, ricondotto all’overdose o allo
spaccio malavitoso, raramente av-
vicinato dal punto di vista umano
da chi non è direttamente coinvol-
to.
Anche il comportamento dei citta-
dini pordenonesi regala uno spac-
cato delle reazioni che permettono
od ostacolano comunemente la
possibilità di integrarsi da parte di un
soggetto, siano i tossicodipendenti
o qualsiasi altra minoranza. Il riman-
dare uno stereotipo rinforza il com-
portamento deviante, creando una
devianza secondaria come reazio-
ne. La categoria “tossicodipenden-
te”, riconosciuta tale dalla società,
per reazione spinge il tossicodipen-
dente a riorganizzare il sé intorno a
tale categoria, per darsi un’identità,
che finisce con coincidere con il
comportamento stigmatizzato.
L’assunzione di un’identità deviante
secondaria, rende difficile qualsiasi
progetto di recupero, in quanto la
persona si vede impotente, di
un’impotenza appresa che blocca
qualsiasi tipo di cambiamento: la
devianza sarebbe un tentativo di
adattamento al fallimento. Si crea
così una subcultura deviante che
mantiene un’identità di gruppo: la
società nell’allontanare tale gruppo
a tutti gli effetti lo consolida. A Por-
denone invece ha prevalso la scel-
ta di chi ha cercato di comprende-
re, di valorizzare, senza allontanare,
la diversa storia che ognuno ha, ri-
tenendola una ricchezza.
Ha prevalso anche la capacità di
chi non era in sintonia con le propo-
ste del gruppo di dare comunque
una possibilità, in quanto gruppo
credibile. Il gruppo e di conseguen-
za ogni individuo che ne è parte, è
stato capace di resistere all’alter-
nanza di successi e frustrazioni, rica-
vando da questa resistenza moda-
lità di pensiero più stabili, imparan-
do a dilazionare la gratificazione e
a pianificare le proprie aspettative
in un percorso di tipo progettuale.
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QUADERNI
DI
ORIENTAMENTO
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Paesaggio, 1938
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