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QUADERNI
DI
ORIENTAMENTO
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particolare, coetanei con figli del-
la stessa età che per il principio di
immedesimazione diventano atto-
ri di un ottimo sostegno. Ciò è
particolarmente visibile in bambi-
ni con patologia grave, quale
quella cronica od oncologica, so-
prattutto se la tipologia della ma-
lattia fa presagire l’esito più in-
fausto.
La famiglia, anche la più fram-
mentata e disorganizzata, si riuni-
sce dopo l’iniziale disorientamen-
to dovuto alla diagnosi; i servizi
sul territorio, le associazioni di
volontariato spesso nate e pro-
mosse da genitori con esperienze
analoghe di malattia, sono le pri-
me a sostenere il bambino malato
ed i suoi genitori.
Il pediatra fa da mediatore con i
centri specialistici di riferimento
oncologico spiegando e filtrando
le informazioni mediche, smus-
sando le ansie, evitando di provo-
care false attese ed inutili dram-
mi.
Nell'esperienza pratica si è rive-
lato fondamentale il ruolo della
scuola e della “classe” per i bam-
bini in età scolare: i bambini sono
innocentemente liberi dagli or-
pelli psicologici che gli adulti di-
mostrano con i propri simili mala-
ti di patologia grave e cioè quel
misto di pietà e scaramantica os-
servazione; il bambino, invece, si
pone con il suo “amico” malato
come se questo non lo fosse;
quando può gioca con lui, passa
il tempo osservandolo a volte in-
curiosito per le modificazioni so-
matiche dovute alle terapie, im-
mediatamente superate dopo le
prime battute; a ciò si aggiunga la
straordinaria serenità che i bam-
bini malati offrono in questi mo-
menti di gioco e di tempo libero
tanto da trasformarsi.
E’ un invito questo alle organizza-
zioni di volontariato ed alla struttu-
ra scolastica, ovviamente nei limiti
e nei termini posti dal decorso del-
la malattia, a promuovere “benes-
sere” anche per questi bimbi me-
diante l’organizzazione di giochi e
momenti d’incontro.
Notevole e rilevante dovrà essere
il ruolo del consultorio familiare
in questo contesto di patologia
grave soprattutto per la gestione
del necessario supporto psicolo-
gico al bambino malato, ad even-
tuali fratelli e sorelle, naturalmen-
te estromessi o comunque par-
zialmente “abbandonati” in que-
sti frangenti temporali, supporto
psicologico che va allargato ai
genitori ed alla mamma in parti-
colare: non vi è nulla di più tragi-
co che la sensazione di perdere il
proprio figlio per una mamma.
La crescita del bambino sano e la
sua entrata in età scolare pongo-
no alla famiglia nuove situazioni
che spesso coinvolgono il pedia-
tra come interlocutore diretto per
la ricerca del benessere: quantità
e qualità del rendimento scolasti-
co e l’attività sportiva da sceglie-
re.
Più semplice rispondere al primo
quesito: l’attività sportiva deve
sposare l’attitudine del bambino,
in sostanza deve fare lo sport che
gli piace (sport come divertimen-
to e non come impegno nella
quotidiana o settimanale agenda)
non deve rispondere alle aspetta-
tive del papà o della mamma (ri-
schio di sindrome di Munchausen
by proxy) non deve interferire con
l’attività scolastica, deve essere
un’attività sportiva simmetrica in
altre parole deve coinvolgere tutti
i distretti del corpo omogenea-
mente onde evitare asimmetrie
muscolari prodotte da sport come
il tennis od il basket se eseguiti in
maniera non corretta o senza la
guida di preparatori atletici, deve
privilegiare assolutamente l’a-
spetto della resistenza e non del
potenziamento muscolare. La ca-
denza deve essere possibilmente
di due sedute sportive a settima-
na.
L’attività sportiva produce e mi-
gliora la crescita, armonizza il
movimento, sviluppa il coordina-
mento motorio, sviluppa la perce-
zione sensitiva come la vista e
l’udito, permette ai bambini più
introversi di socializzare, anche
se lo sport è individuale, portan-
doli a superare le piccole paure
dovute alla prestazione sportiva.
Tutto ciò nel lungo periodo pro-
duce, oltre al benessere fisico e
psichico, un’ottima prevenzione
delle patologie articolari e, svi-
luppando il tono della muscolatu-
neuro-motorio e sulle acquisizio-
ni psichiche mediante la valuta-
zione delle competenze specifi-
che per età.
Durante il primo anno di vita il
ruolo del pediatra di famiglia è
moltiplicatore sul fronte assisten-
ziale facendo spesso da riferi-
mento oltre che per la mamma,
anche per il papà e i familiari più
direttamente coinvolti dall’evento
nascita ed, in particolare, i nonni;
la tendenza delle nonne a sosti-
tuirsi alle mamme è notevole, a
volte dannosa se eccessiva od op-
primente tanto da essere concau-
sa, in taluni casi, del senso di ina-
deguatezza materna che si asso-
cia al fisiologico disequilibrio di
coppia che il nuovo arrivato pro-
voca nell’ambito familiare.
La presenza sul territorio del ser-
vizio pediatrico di base associato
alla rete di servizi offerti dalle
istituzioni quali i distretti sanitari
ed i consultori familiari possono
essere validi e opportuni interlo-
cutori per la famiglia e per la
mamma in difficoltà.
Tutto ciò però fa i conti con la
segmentarietà della domanda e
dell’offerta dei servizi: il pediatra
è l’interlocutore diretto per il
bambino, il distretto sanitario è
visto in funzione “vaccinale”
mentre il consultorio familiare
viene percepito come elemento a
cui la famiglia “media” può ricor-
rere solo in caso di problemi qua-
li disagio familiare, gravidanze
difficili, famiglie multiproblemati-
che.
Sul territorio la rete di sostegno
familiare espressa dai nonni, da-
gli zii, dai parenti più stretti e do-
po dagli amici se da un lato può
essere minimamente invasiva sul-
la famiglia dall’altro è ancora il
riferimento cui rivolgersi per di-
luire il problema e porsi come
ammortizzatore psicologico e so-
ciale per il genitore in difficoltà.
Anche le organizzazioni religiose
e di volontariato laico, seppur in
tono minore, sono di aiuto.
L’avvenimento di malattia dovreb-
be destabilizzare la rete naturale
di difesa familiare, invece si os-
serva un rafforzamento della stes-
sa con il coinvolgimento di sog-
getti esterni alla famiglia, amici in