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QUADERNI
DI
ORIENTAMENTO
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vevano prediletta e spiegando se
l’avevano conosciuta attraverso la
lettura di altri (e di chi in partico-
lare) o una volta che avevano im-
parato a leggere. Per sollevare il
pesante imbarazzo del “chi comin-
cia?” mi sono messa in gioco rac-
contando la mia fiaba preferita e..
abbiamo incominciato a giocare. E
già qui, se a giocare con noi ci fos-
se stato anche uno psicoterapeuta,
forse il gioco sarebbe diventato an-
che più interessante, perché non si
sarebbe limitato alla narrazione di
fiabe più o meno note, ma poteva
diventare un momento di condivi-
sione di sensazioni, emozioni e
vissuti personali: un modo per ri-
trovare il “bambino perduto” che è
dentro ognuno di noi e al quale
spesso gli adolescenti, per pudore
o quant’altro, non danno voce. Se
poi con noi ci fosse stato uno psi-
coterapeuta , io come docente
avrei potuto rendere più efficace
anche la seconda fase del gioco,
nella quale, visto che alla narra-
zione di fiabe era seguita l’analisi
delle strutture portanti di questo
meccanismo narrativo, ho propo-
sto ai ragazzi di costruire loro stes-
si delle fiabe, utilizzando gli ele-
menti fondamentali che avevamo
studiato.
Ogni allievo ha scelto le funzioni,
strutturato lo schema narrativo, da-
to forma ai personaggi e costruito
la sua fiaba; ogni fiaba è stata letta
in forma collettiva e poi è stata rac-
colta in un libro di fiabe confezio-
nato artigianalmente dagli studen-
ti, con l’aiuto dell’insegnante di
trattamento testi (che li ha aiutati
con i problemi dell’impaginazio-
ne) e dei più bravi a disegnare che
hanno realizzato le copertine.
In quelle storie c’era forse il rac-
conto di un qualcosa di loro? Io
credo di sì, ma io, come insegnan-
te, l’ho solo potuto intuire, non
comprendere appieno. Forse, aiu-
tata da chi di competenza, avrei
potuto capire di più e, magari, dal-
l’invenzione di una fiaba avrei po-
tuto portare i miei allievi a prende-
re coscienza delle loro storie e
convincerli a raccontarle, a condi-
viderle. Ognuno deve essere mes-
so in condizione di raccontare la
sua storia, non fosse altro che per
l’imparare a rendersi protagonista
consapevole di essa; credo che la
scuola, con i giusti supporti, sia
uno di quei luoghi in cui uno, oltre
ad incontrare e conoscere storie
che possono diventare significative
per lui (e come non pensare ai per-
sonaggi di romanzo?), può essere
messo in condizione di raccontarsi
e di ascoltare i racconti di altri. Mi
rendo conto che un’obiezione che
mi si può muovere è che la fiaba si
presta ad essere utilizzata solo in
alcuni livelli di istruzione: ci si
può lavorare alle scuole dell’infan-
zia ( in forma orale) alle scuole
elementari e medie, ma diventa
difficilmente proponibile nelle
scuole superiori. Credo però che
esistano altre strutture narrative al-
le quali si accostano gli allievi del-
le scuole superiori che possono
comunque permettere l’avviamen-
to di un lavoro di (psico)analisi.
Faccio un esempio: con gli allievi
delle mie classi io affronto il testo
narrativo – informativo ( l’articolo
di cronaca) sia per avviarli alla
produzione di testi simili, sia per
l’utilizzo di tali testi per la stesura
di racconti. A me questo lavoro
serve per testare alcune capacità
legate all’uso della lingua: quella
di saper individuare le informazio-
ni principali, quella di creare dei
testi narrativi di finzione a partire
da dati della realtà , quella di saper
usare con adeguata padronanza le
strutture della lingua italiana e le
strutture del testo narrativo lettera-
rio breve ( il racconto). Credo però
che anche questo tipo di lavoro
possa segnalare a chi di competen-
za elementi intrinseci alla persona-
lità di chi compone questi elabora-
ti, e che perciò, un supporto speci-
fico in tal senso potrebbe essere di
grande aiuto non solo per l’indivi-
duazione e l’intervento su segnali
di disagio. Io però non possiedo i
requisiti per operare in merito, e
penso che comunque differenti
competenze vadano agite da più
persone, per evitare confusione di
ruoli . Mi aspetto perciò di avere
accanto qualcuno che mi aiuti a
usare la mia quotidiana pratica di-
dattica per operare anche qualcosa
di ulteriore ad un esercizio di abi-
lità scrittoria.
Insomma: alle scuole dell’infanzia
si “leggono” i disegni dei bambini
(che ancora non sanno scrivere):
perché non leggere le storie create
da chi sempre più spesso scrive so-
lo SMS?”
STIAMO VIVENDO
UN PASSAGGIO EPOCALE
DA UN’ANTICA CIVILTÀ
AD UN’ALTRA
ANCORA DA INTERPRETARE
Sabino Acquaviva
Docente di sociologia
all’Università di Padova
Io vi ringrazio e annuncio che
sarà una cosa breve quindi non
spaventatevi, non terrorizzatevi.
Cercherò di cavarmela in un quar-
to d’ora, venti minuti. Poi general-
mente guardando l’auditorio in
faccia uno si accorge quando ha
una lunga pratica, ha fatto molte
conversazioni, del momento in
cui è ora di smettere. Perché l’au-
ditorio si muove sulle sedie men-
tre in una prima fase sta immobi-
le, di seguito si muove sulle sedie
e quelli che sono nelle prime file
fanno gli occhi a palla che è una
cosa tutta particolare: quando fan-
no gli occhi a palla vuol dire che
pensano ai loro problemi. Poi c’è
un’altra considerazione che vorrei
fare. Io faccio il sociologo e fran-
camente quando mi chiamano per
queste riflessioni faccio sempre
dei discorsi di scenario, perché il
sociologo non ha la preparazione
del pedagogista, dello psicologo,
ecc. questo in linea generale, nel-
lo specifico in questo momento
l’argomento è la storia dell’uma-
nità e, secondo me, il problema è
molto più complicato. Ci sono dei
cambiamenti strategici di cui noi
quando ci occupiamo della comu-
nicazione nella scuola con i gio-
vani, il dialogo dei giovani, ecc.
non teniamo conto. Il primo pro-
blema è veramente epocale. Cioè
noi stiamo uscendo da un’antica
civiltà ed entrando in un’altra. E
questo accade ogni cinquecento-
mille anni, quindi noi abbiamo il
privilegio di vivere in questa fase
di passaggio. Io lo dico sempre,
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