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QUADERNI
DI
ORIENTAMENTO
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pria divisione: gli studenti africani
si siedono da una parte, quelli
asiatici da un’altra e gli americani
di là. Io creo quindi dei piccoli
gruppi di studenti, alcuni più gio-
vani, alcuni più vecchi, e la conse-
gna è: fare qualcosa insieme che
non hanno mai fatto prima al di
fuori della classe. Quando ce li ho
in classe si incontrano, si salutano,
si conoscono e godono ognuno
della presenza dell’altro. Poi si sa-
lutano anche nei corridoi, perché è
una delle regole della nostra so-
cietà: bisogna salutare le persone
che ti hanno presentato. Cerco di
creare una comunità più diversa e
più amichevole con questo eserci-
zio, ma quando lasciano il campus
tutto si rompe, perché il potere dei
loro gruppi, dei quali fanno parte,
è troppo importante e non se ne
staccano. Quindi devo ancora la-
vorare su questo esercizio e cerca-
re di utilizzare la mia influenza.
Ma la mia influenza è molto debo-
le quando loro sono fuori dall’aula
e sono con i loro pari.
Voglio farvi sapere che queste pro-
poste innovative sono belle ma
spaventano anche, perché a volte
tutte le speranze sono vane.
(Ken)
Spesso preparo, e correggo le rela-
zioni di fine quadrimestre, che è
una cosa normale per gli insegnan-
ti, quando gli studenti si spostano
dalle superiori al college. Queste
relazioni preparate nel modo tradi-
zionale, presuppongono che ogni
studente faccia il proprio lavoro,
perché ha una mente indipendente,
o almeno così dovrebbe essere. Ma
se non pensate alla mente indipen-
dente, ma alle relazioni, ci sono al-
tre possibilità. Quindi spesso, per
queste relazioni finali, formo un
piccolo gruppo di studenti, quatto o
cinque, che lavorano in rete, e pen-
so che non sia un problema anche
per voi perché ormai siamo tutti ca-
blati, risulta molto facile. Il compito
che hanno è generare un dialogo su
un argomento, ad esempio: “come
la TV ha influenzato la cultura”.
Non scriveranno un qualcosa di cui
saranno direttamente responsabili,
perché quello che mi consegnano è
un dialogo non una relazione indi-
viduale. Io gli pongo anche questa
sfida: prima di cominciare parliamo
anche di che cosa è e che cosa co-
stituisce un buon dialogo, che cosa
cercate in un dialogo che è molto
diverso da una relazione classica in
cui io difendo ogni idea e ogni cosa
deve essere coerente con uno scopo
preciso. Cercate idee molteplici,
non difendete le vostre idee contro
le mie, ma tutte e due le idee, di-
versi modi di vedere le cose. In que-
sto modo si onorano i molteplici
apporti al concetto generale, il che
significa anche prestare attenzione
a ciò che fanno le altre persone,
non dire “io sono meglio di te”, e
quindi coinvolgere l’altra persona
nella conversazione. Loro parlano,
ad esempio, dell’importanza di ap-
prezzare ognuno, importanza di far
proprie nuove cose, importanza di
avere conversazioni che sono anche
divertenti. Una persona può essere
anche divertente, ironica o potreb-
be portare un aneddoto personale
quindi è un prodotto molto più ric-
co. Quando ci sono questi dialoghi
su argomenti diversi ci sono cose
che apprendo anch’io, a cui non
avevo mai pensato prima, che non
sono nelle mie abitudini. Per cui
non scrivo solo che hanno fatto
questo, questo e questo. Mi dicono
cose per esempio su televisione e
cultura che per me sono totalmente
nuove.
Abbiamo ancora un problema: l’i-
solamento personale. Tutti diventa-
no delle persone separate e ci sono
tendenze all’aggressività, al bulli-
smo, svalorizzazione e sottomis-
sione degli altri per difendere la
propria autostima, perché ci dob-
biamo sempre chiedere “Sono nor-
male?”, “Vado bene così?”. Questa
è la prima domanda che ci faccia-
mo se siamo un individuo solo, se-
parato dagli altri: “Sto bene così?”.
Molte persone non stanno bene,
perché c’è molto pettegolezzo nel-
le scuole, che non fa star bene le
persone. Le scuole diventano, so-
prattutto al di fuori delle lezioni,
luogo in cui tutte le persone si
preoccupano di come stanno. An-
cora più importante dei compiti è
chiedersi: “Ma io sono fuori dal
gruppo?”, “Sono uguale agli altri?”,
e cosi via. Quindi quello che ho
provato a fare è dividere in coppie
gli studenti per presentarsi. Ma non
devono essere delle presentazioni
questo modo gli studenti possono
essere coinvolti personalmente in
qualcosa che per loro è stato mol-
to importante e di solito scoprono
sempre discrepanze e prospettive
diverse in ogni ricordo. Una donna
ricordava di una lite con il fratello,
in cui lui la inseguiva nel soggior-
no e ad un certo punto la spinse,
lei cadde, picchiò la testa contro lo
spigolo del tavolo, andò all’ospe-
dale, le diedero dei punti e aveva
del sangue ovunque. Mentre rac-
contava cercava la cicatrice perché
voleva mostrarla, ma non la trova-
va, poi guardò di fronte al tavolo e
vide che la cicatrice l’aveva suo
fratello. Aveva invertito la parte del
feritore e del ferito assegnando a
lei il ruolo migliore, la parte del
buono in questo ricordo.
(Ken)
Ciò che mi piace di questi action
assignment è che in un certo senso
prendono questa relazione e la
estendono in dietro, dentro il mon-
do da cui proviene il bambino, in
modo che la scuola diventi una
parte più integrata di tutta la vita
del bambino o dello studente.
La collaborazione delle collabora-
zioni comincia a estendersi, a
espandersi.
C’è un altro esempio che mi piace
molto. Un mio amico lo ha fatto
con studenti più giovani, dovevano
intervistare i genitori sulle loro
esperienze scolastiche, per esem-
pio, o su come vivevano durante la
guerra, durante un certo periodo
culturale, o intervistare i nonni per
sapere come era la vita in un dato
momento. Bisognava poi tornare in
classe e parlare con i propri pari e
portare l’esperienza nella collabo-
razione della classe e portare un
numero sempre più crescente di al-
tre persone dentro i campi di rela-
zione.
(Mary)
Mi piacerebbe raccontare di un ac-
tion assignment, che sono sicura
sia un’ottima idea, ma è fallito due
volte, in due classi diverse. Nelle
nostre università, come penso da
voi, ci sono persone che provengo-
no da paesi diversi, dall’Africa,
dall’Asia, dall’India, così come una
moltitudine di persone che abitano
da lungo tempo negli Stati Uniti.
Spesso si assiste a una vera e pro-