9
QUADERNI
DI
ORIENTAMENTO
■
22
zo scende, e spinge anche lui, la
macchina si ferma ovviamente e noi
diciamo al gruppo di ragazzi, che
intanto sta ridendo: “la macchina è
ferma, é bloccata, più spingete più
rimane ferma, c’è qualcuno dei due
che non si sta impegnando ?” No.
Entrambi s’impegnano, fanno fatica,
sudano, eppure la macchina non si
muove: questo è quello che accade
a voi quando vorreste, per esempio,
studiare ma scoprite che non avete
voglia, non c’è carenza di qualcosa.
Accade questo.
“Il disegno sta parlando di voi,
quando voi sembrate, a voi stessi,
privi di qualcosa”. Io so che i ra-
gazzi dicono: “Perché non ho vo-
glia? Perché Francesco ha questa
voglia, riesce a lavorare due ore, e
io non c’è l’ho?“ Occorre dire ai
ragazzi: “Non è vero che non c’è
l’hai, non è qualcosa che non hai,
è qualcosa che hai in più, per an-
dar bene a scuola occorre lavorare
di meno, non lavorare contro“. Poi
diciamo ai ragazzi che la parte che
spinge contro, lo fa perché non è
stupida, anzi, è una grande amica
che vuole aiutarli e chiediamo ai
ragazzi cosa accadrebbe di brutto,
secondo loro, se la parte smettesse
di aiutarli, se cominciassero ad an-
dare bene a scuola. I ragazzi ri-
spondono e nell’istante in cui ri-
spondono, iniziano non sapendo-
lo, a demolire le narrazioni di vec-
chio tipo e a dire: “sono io quindi
che decido queste cose, allora di-
pende da me “, e si innesca il cam-
biamento. Questo per quanto ri-
guarda le narrazioni che possono
essere cambiate sia in noi sia nei
ragazzi. Ma c’è un altro fenomeno
molto interessante, che ritengo
possa riempire la seconda parte
del mio intervento: abbiamo fatto
interviste con molte scuole della
regione, abbiamo raccolto nume-
rose autodescrizioni dei ragazzi,
abbiamo provato a dire ai ragazzi:
“leggiti come sei a scuola “, anzi-
ché dire ai ragazzi: “cos’è che non
ti piace?”, perché il pericolo era
che utilizzassero i nostri termini,
le nostre categorie. Da un centi-
naio di autodescrizioni, autocarat-
terizzazioni, usciva questa sorta di
messa a fuoco collettiva di due
grandi temi. Il primo: tantissimi ra-
gazzi, circa 80%, davano molta
importanza al fatto che a scuola
non riescono a stare attenti. La co-
sa compare anche nelle interviste
agli adulti, insegnanti e genitori.
Ricordo un insegnante che dice:
“lo vedo, stanno cambiando i tem-
pi, ormai anche i ragazzi bravi,
dopo un po’ di tempo perdono la
concentrazione, non riescono a
stare attenti, perdono il contatto
con quello che stanno facendo, è
un fenomeno diffuso“. Bene, ipo-
tizzo una lettura di questo fenome-
no: non siamo davanti ad uno stra-
no degrado del cervello dei ragaz-
zi di oggi, non è, prevengo i so-
spetti, l’uso della Playstation che
rende diversi i loro tempi d’atten-
zione; c’è qualcos’altro che sta ac-
cadendo, e lo si può intuire sco-
prendo l’altra categoria toccata
spesso dagli studenti: il rispetto, il
rispetto di loro per gli insegnanti e
degli insegnanti per loro. Siamo ad
un punto cruciale, potremmo fare
una lettura superficiale e dire: “
Sono i tempi di oggi, non c’è più
pazienza, non c’è più rispetto“,
ma non è così semplice. Io penso
che per promuovere il benessere si
possa leggere ciò che oggi appare
più urtante nei bambini e nei gio-
vani, una certa loro spocchia, ar-
roganza, in un modo “positivo”,
vedremo fra qualche attimo in che
senso. Intanto qualche esempio di
“spocchia” o di atteggiamenti di-
sarmanti: era impensabile anni fa
che un bambino di prima media
dicesse all’insegnante: “Non si
permetta di parlarmi così”, oggi lo
fanno. Un esempio recentissimo:
qualche mese fa viene da me, in
un centro d’ascolto per genitori,
una mamma con il figlio. La mam-
ma espone le questioni scolastiche
del figlio, poi la invito ad uscire un
attimo per parlare con lui, per sa-
pere da lui il suo punto di vista, e
questo figlio mi dice: “Le cose che
dice mia madre sono vere, però ho
un altro problema, io sento il biso-
gno di gestire da me la mia vita, di
fare le mie scelte, e ho l’impres-
sione di essere in un mondo che
mi impedisce di farlo.” Immagino
che questo sembri anche a voi un
buon linguaggio, una richiesta ma-
tura e sensata, ma quel figlio che
parlava aveva solo… otto anni. Era
un bambino. Certo, non sono tutti
così, ma anche questo è un indi-
catore di quanto sta accadendo.
C’è in atto un cambiamento di
grande portata, i bambini e i ra-
gazzi incominciano a sentire, in
modo forse inconsapevole e in-
controllabile, sulla pelle, che han-
no più diritti, che hanno diritto a
un mondo più “democratico” dove
loro sono rispettati; questo tema
del rispetto e dell’attenzione esce
delle descrizioni che loro fanno di
loro stessi. Sotto c’è qualcosa di
molto importante, c’è un sapere
che sta andando in crisi. Quando
manca l’attenzione il risultato è
che non apprendono, non impara-
no.
C’è sotto un sapere, ed è questo il
sapere che sta entrando in crisi, la
cui modalità di passaggio dall’inse-
gnante al ragazzo è di questo tipo:
Edgar Morin dice che stiamo inse-
gnando come se riempissimo con il
sapere delle teste vuote e questa
modalità è vissuta oggi dai ragazzi
come non più sopportabile.