- utilizzo trasversale delle lingue lo-
cali nelle attività già presenti nel-
la programmazione (percorsi di-
dattici, progetti, laboratori, atti-
vità sperimentali elettive…);
- attenta suddivisione dei conte-
nuti per evitare sia ripetizioni de-
motivanti, sia difficoltà frustranti;
la scelta dei contenuti dovreb-
be inoltre attualizzare l’insegna-
mento della lingua locale supe-
rando una visione meramente
“folcloristica” della stessa, contri-
buendo così a rafforzarne il pre-
stigio;
- particolare attenzione va posta
al raccordo tra i vari ordini di
scuola per assicurare la conti-
nuità delle esperienze;
- correlazione delle attività in lin-
gua locale con gli obiettivi e i
contenuti culturali e ambientali
previsti nella programmazione
comune;
- individuazione delle pre-cono-
scenze e pre-competenze di
ciascun alunno”.
Nel frattempo è apparsa la Lettera
Circolare n.89 del Ministero dell’Istru-
zione (“Piano di interventi e finanzia-
menti per la realizzazione dei pro-
getti nazionali e locali nel campo
dello studio delle lingue e delle tra-
dizioni culturali degli appartenenti
ad una minoranza linguistica/ Leg-
ge 15 dicembre 1999, n. 482, art. 5”)
del 21 maggio 2001. Di essa riportia-
mo, innanzi tutto, il passo intitolato “I
progetti elaborati dalle scuole”. “Le
istituzioni scolastiche presenti nel-
l’ambito territoriale e subcomunale
in cui si applicano le disposizioni di
tutela delle minoranze linguistiche
storiche, previste dalla legge n.
482/99, sono invitate ad elaborare
progetti che integrino il proprio Pia-
no dell’Offerta Formativa, predispo-
sto per l’anno scolastico 2001/2002.
I progetti potranno prevedere l’a-
desione alle seguenti azioni, in
conformità con quanto previsto dal-
la Legge n. 482/99:
Spazio aperto
realtà”. Di fatto, il Friuli-Venezia Giulia,
come regione storicamente plurilin-
gue e costantemente a contatto
con culture e lingue diverse, può co-
stituire un laboratorio privilegiato per
l’applicazione della legge sopra indi-
cata, a partire dalla dimensione lo-
cale e nazionale per aprirsi, tramite le
lingue più vicine, a quella europea e
internazionale.
Il testo che segue e che viene invia-
to ai dirigenti scolastici e ai docenti
delle scuole dell’infanzia, elementa-
re e media, non ha nulla di prescrit-
tivo, ma va letto come un insieme di
riflessioni nate da esperienze in ma-
teria già realizzate in alcune istituzio-
ni scolastiche o come spunti e ipo-
tesi di lavoro, che possono risultare
utili per la formulazione dei currico-
la. Siccome il documento è piutto-
sto ponderoso (dodici pagine) e
quindi, in questa sede, non è possi-
bile riprodurlo integralmente, ripor-
tiamo solo parte del capitolo “Il mo-
dello plurilingue”, che ci pare parti-
colarmente significativo.
“In primo luogo si ritiene opportuno
definire che cosa si intenda per edu-
cazione plurilingue, partendo dalla
convinzione che imparare ad usare
più lingue come strumenti di comuni-
cazione sia parte integrante della
formazione del futuro cittadino euro-
peo. In altri termini, significa tradurre
il multilinguismo, come fenomeno so-
ciale presente in tutte le società del
mondo in un plurilinguismo funziona-
le che rappresenta una capacità in-
dividuale. Essere plurilingui significa
saper padroneggiare più linguaggi,
manipolare più codici, cogliere il
senso più profondo dell’identità del
gruppo sociale di cui ogni lingua è
espressione. L’educazione plurilingue
(si vedano i più recenti documenti
europei) deve essere promossa par-
tendo dalle lingue native, dall’am-
biente, ed estendersi alle lingue se-
conde e straniere. La formazione plu-
rilingue include, quindi, la valorizza-
zione piena delle lingue meno diffuse
nel curricolo. Il plurilinguismo si realiz-
za utilizzando le risorse del territorio,
coinvolgendo gli enti locali, le fami-
glie e le varie agenzie presenti nelle
singole realtà, predisponendo delle
linee progettuali negoziate con il ter-
ritorio stesso che prevedano espe-
rienze graduali, significative e di qua-
lità, privilegiando l’uso veicolare e
trasversale della lingua. Tutto ciò
comporta scelte collegiali basate
sulla sensibilità culturale e sulle com-
petenze professionali dei collegi do-
centi. In questa prospettiva, il ruolo
strategico dei dirigenti nel delicato
momento di avvio delle esperienze
va considerato di fondamentale im-
portanza per l’applicazione della
legge di tutela. Ogni modello plurilin-
gue dovrebbe fondarsi su alcuni prin-
cipi generali:
- complementarietà delle lingue
secondo uno schema che inclu-
da la lingua locale, l’italiano,
una o più lingue straniere;
- rispetto della variante linguistica
locale, in particolare nelle fasi
iniziali dove l’approccio sarà
prevalentemente orale, e intro-
duzione graduale di varianti
maggiormente standardizzate,
anche con l’ausilio di fonti scrit-
te;
- coinvolgimento e collaborazio-
ne dell’intero gruppo insegnan-
te per l’integrazione della/e lin-
gue locali nel curricolo genera-
le;
- il principio di corresponsabilità,
collegialità e condivisione richie-
de che, sia l’insegnante che
opera in lingua locale, sia l’inse-
gnante che non lo fa, si ricono-
scano entrambi come insegnan-
ti che operano in un contesto
plurilingue con scelte metodolo-
giche coerenti;
- coinvolgimento di altre figure
professionali che interagiscano
con i bambini (dirigente, cuoca,
autista…) e impiego delle risorse
del territorio (famiglie, associa-
zioni…) per ampliare la rete co-
municativa nelle lingue locali;
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QUADERNI
DI
ORIENTAMENTO
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