Spazio aperto
e identità culturali come risorse eco-
nomiche e fattori di sviluppo” ne è
una sostanziale prova. Ben sette
aree europee (Sud Tirolo, Slovenia,
Catalogna, Galles, Paesi Baschi,
Occitania e Friuli) sono state messe
a confronto per dimostrare appunto
che l’uso della propria lingua mino-
ritaria è ricchezza capace di pro-
muovere anche sviluppo economi-
co. I vari relatori, portando esperien-
ze concrete e documentate, hanno
infatti ribadito come l’uso della lin-
gua minoritaria sia fattore di promo-
zione del senso di appartenenza al
proprio territorio e alla propria cultu-
ra, ma anche occasione in grado di
conferire a una terra caratteristiche
di specificità e specialità tali da ap-
portare un valore aggiunto all’intero
sistema, un valore insomma anche
economico. E per raggiungere que-
sto obiettivo la scuola è l’istituzione
fondamentale, perché occorre im-
parare a scrivere e leggere corret-
tamente il lessico della propria terra,
superando le forme colloquiali e
informali, per non perdere cultura,
lingua e identità, basi imprescindibi-
li della specificità di ognuno.
CHE COSA FA
LA SCUOLA
IN CONCRETO?
Limitiamoci, per ora, alle sole provin-
ce di Udine e Pordenone. E stringia-
mo il nostro sguardo sui soli Istituti
Comprensivi e sulle scuole medie di
primo grado. Nella sola provincia di
Udine ci sono ben quindici comuni in
cui, oltre al friulano, si utilizzano parla-
te slave, mentre l’idioma tedesco è
presente in quattro comuni dell’Alto
Friuli. Anche se in molte persone è dif-
fusa la convinzione che lo spartiac-
que sia rappresentato in ogni settore
(e quindi anche nella scuola) dalla
legge nazionale n. 482 del 1999, non
è proprio così. La post-modernità, di
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QUADERNI
DI
ORIENTAMENTO
■
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PREMESSA
Uno dei fenomeni linguistici più signi-
ficativi, registrati negli ultimi decen-
ni, è quello della progressiva avan-
zata delle lingue forti col conse-
guente arretramento di quelle vul-
nerabili, dal punto di vista socioeco-
nomico e culturale, lingue usate da
comunità scarsamente rappresen-
tative o costrette da condizioni eco-
nomiche alla migrazione ed alla di-
sgregazione. “Entro cento anni il
processo di globalizzazione avrà fat-
to scomparire il 90% delle lingue par-
late nel mondo”. È’ quanto sosten-
gono gli scienziati che hanno lan-
ciato il “Rosetta project” per predi-
sporre un “disco indistruttibile” che
conservi i fondamenti di un migliaio
di lingue a rischio estinzione. Qual-
cuno dice che sparirà perfino l’ita-
liano. È verosimile? E’ evidente che
alcune lingue (la percezione è net-
ta) abbiano un certo predominio:
l’inglese, per esempio, o il cinese,
ma anche lo spagnolo. Ci fu anche
un momento in cui, in nome dell’au-
tarchia, il nostro Paese bandì tutti i
vocaboli di origine straniera e qual-
cuno battezzò il bar “qui si beve”,
ma non ebbe fortunatamente un
grande seguito. Peraltro, da più par-
ti si sostiene che l’italiano è l’idioma
più armonioso del mondo e pare
che Carlo V abbia detto di usare lo
spagnolo con Dio, il francese con gli
uomini, il tedesco con il suo cavallo
e l’italiano con le donne.
Ma è poi vero che parliamo nello
stesso modo? Non sempre. Se restia-
mo all’italiano, su qualunque dizio-
nario, il frutto tondeggiante del melo,
viene indicato come “mela”. Ma nel
Veneto lo stesso frutto è chiamato
“pomo”; in Calabria lo chiamano
“mile”, in Sicilia “pumo”, in Lombar-
dia “pomm”. Si narra che, nel Risorgi-
mento, durante la battaglia di Villa-
franca, ci fu uno scambio di schiop-
pettate tra piemontesi autentici e al-
tri occasionalmente aggregati: veni-
vano dal Sud e con quelli di Chivas-
so o di Saluzzo non si capivano.
Ma veniamo a periodi più vicini a
noi, anzi al tempo attuale. Nei ma-
nuali ferroviari, per esempio, com-
pare un’espressione (ma ce ne sono
tante astruse). Si parla di “spedire il
collo”, intendendo naturalmente
identificare l’azione di inviare ad un
destinatario un pacco. E ancora in
alcuni cartelli dell’A.N.A.S., l’Ente a
cui è affidata la manutenzione del-
le strade statali, si può leggere che
la “strada (è) sconvolta”. In altri car-
telli ancora si può scoprire la para-
dossale “fine del divieto di balnea-
zione”. E si potrebbe continuare al-
l’infinito. Giova dire comunque che
ogni categoria ha un suo gergo,
che tende soprattutto a non farsi
capire dagli estranei.
Anche sulla base di queste conside-
razioni non pare assolutamente fuo-
ri luogo pensare, come ad esempio
la Provincia di Udine, che le lingue
minoritarie non sono soltanto patri-
moni culturali e linguistici, ma anche
risorse di sviluppo economico. Il re-
cente convegno internazionale di
Udine, dal titolo “Lingue minoritarie
LE LINGUE
“MINORI”
A SCUOLA