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SPAZIO APERTO
ganizzazione e connettendo, da un lato,
la funzione di progettazione degli uffici
centrali dell’Unità Minori con la più ti-
pica dimensione territoriale e, dall’altro
lato, inducendo all’interazione assistenti
sociali e educatori, per approfondire il
preoccupante fenomeno dell’abbandono
scolastico, evitando soluzioni prestazio-
nali. Ciò ha consentito di interpretare
quella titolarità scansando logiche ero-
gative, rassicuranti e autoreferenziali, e di
recuperare, riportandola in primo piano,
la promozione del cambiamento delle
persone - a partire dalle loro risorse e,
perché no, sociale e istituzionale. E ciò,
proprio rimettendo al centro gli
invisibili
,
persi alla scuola e alla società, e il loro
diritto a partecipare pienamente alla vita
della nazione.
Per riprendere le precise parole del
progetto del Piano di Zona del triennio
2010-2012, questi erano gli obiettivi che
il gruppo di lavoro si era proposto:
l
“trarre dall’«invisibilità» le/i ragazze/i
che non frequentano la scuola; presa in
carico delle loro situazioni da parte della
scuola e degli enti e soggetti coinvolti
nel progetto”;
l
“dare la possibilità alle/ai ragazze/i
che non frequentano la scuola dell’ob-
bligo di frequentare un ambiente non
tradizionalmente «scolastico» che of-
fra loro la possibilità di apprendere
saperi curriculari, di conoscenza di sé e
degli altri e di sperimentare esperienze
nuove”;
l
“fornire nel diverso contesto di appren-
dimento ore di frequenza abbastanza
continuative”;
l
“aumentar e l a quota de l l e/de i
ragazze/i «soggetti» di questo proget-
to che riescono a completare i percorsi
formativi dell’obbligo”
Si vedrà, seguitando a leggere, quali
siano stati raggiunti e in quale misura.
Qui, da subito, penso di poter antici-
pare solo una breve considerazione
sull’ultimo degli obiettivi e sull’insi-
stenza, pensata, voluta, agita, sul pro-
tagonismo delle ragazze e dei ragazzi
che insegnanti volontari e educatori
hanno incontrato nella quotidianità
di “Non uno di meno”: effettivamen-
te “soggetti”, non solo coinvolti, bensì
parti costitutive del progetto, assieme
alle loro famiglie.
Un po’ per chiudere questa breve intro-
duzione e per richiamare retoricamente
il film cinese citato all’inizio, com’è stato
per l’esperienza, in fondo deweyana, della
giovanissima supplente e dei suoi piccoli
scolari, alle prese in prima persona, tut-
ti, grandi e piccoli, con un problema da
risolvere. E forse, più delle stesse didat-
tiche, ciò che ci ha impegnati tutti, primi
fra gli altri e giorno dopo giorno, ragazzi,
insegnanti e educatori, e di riflesso ogni
altro partecipante al gruppo di progetto,
è stata la rappresentazione di
“un proble-
ma che non ci abbandona mai quando ci
occupiamo di insegnamento e di appren-
dimento, un problema così onnipresente,
così costante, che fa così parte del tessuto
della vita che spesso non lo notiamo, non
riusciamo nemmeno a scoprirlo […] ed è
il problema di come avviene l’incontro
fra due menti, che l’insegnante esprime
chiedendosi: «come faccio ad arrivare ai
bambini?» e i bambini: «dove sta cercando
di arrivare?»”
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