Quaderno 36 - page 81

SPAZIO APERTO
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che per esposizione di simboli si
intende anche quelli indossati
eventualmente dall’individuo. La
prima conseguenza apparente-
mente positiva sarebbe un’altret-
tanto apparente riduzione della
conflittualità. Tutti a scuola devo-
no essere uguali sotto lo stesso
tetto, non esistono differenze re-
ligiose o culturali. Ho usato il ter-
mine apparente in quanto la con-
flittualità reale o potenziale che
vi può essere nel contatto tra di-
versi non viene scalfita, anche se
si potrebbe ridurre nelle sue
espressioni maggiormente pale-
si. Psicologicamente si potrebbe
affermare che siamo di fronte ad
una difesa nevrotica, o meglio,
secondo Fritz Perls
2
un “
disturbo
nella frontiera del contatto
” con
l’altro attraverso meccanismi di
evitamento, rimozione o nega-
zione delle differenze. Attraverso
tali meccanismi, si riescono forse
a limitare il palesarsi di possibili
tensioni o conflitti durante le ore
scolastiche o si riesce forse a to-
gliere dall’imbarazzo alcuni inse-
gnanti o dirigenti di fronte a ri-
chieste più o meno legittime di
certi genitori; ma cosa succede
durante gli intervalli scolastici,
all’uscita della scuola o fuori dalla
scuola o quando questi alunni,
studenti, saranno adulti inconsa-
pevoli del valore della diversità e
incapaci di convivere con culture
altre? Incapaci di gestire tensioni
e conflitti? L’Altro, il diverso che é
anche simile a noi (Simmel
3
) si av-
vicina creando un contatto, nel
contatto ci tocchiamo reciproca-
mente ed inevitabilmente. Que-
sto accade sempre più spesso nel
nostro mondo, nella nostra socie-
tà, senza che nessuna delle parti
abbia appreso dalle principali
agen­zie di socializzazione, ovve-
ro dalla scuola e dalla famiglia,
quelle ­­che si possono definire ca-
pacità fondamentali di compren-
sione dell’al­­terità e del contatto
con sé e gli altri. Questa è ovvia-
mente una visione generalizzata,
molti sono, infatti, i progetti o le
attività scolastiche che guardano
in questa direzione, mi sento di
dire che tuttavia tale risposta ri-
sulta ancora insufficiente e man-
ca uno stile diffuso. è sempre
bene ricordare e ribadire che evi-
tando il contatto con chi è diver-
so da me evito anche il contatto
conme stesso. Come posso cono-
scermi se nessuno mi mette in
discussione? è solo attraverso il
contatto umano con gli altri, ov-
vero con chi è diverso, che cono-
sco la mia gioia, la mia tristezza, la
mia rabbia, la mia volontà pro-
fonda, il mio senso all’esistere ecc.
L’Altro è sempre un tramite alla
conoscenza di Sé. Egli non produ-
ce odio, paura, tensione, ma mi fa
conoscere, riflette come uno
specchio il mio odio, la mia paura,
la mia tensione o rabbia. E mi fa
conoscere anche la mia felicità, la
mia gratitudine, il mio amore. è
solo attraverso la relazione con
gli altri che possiamo crescere ed
avere coscienza di ciò che siamo.
A volte tale relazione è sofferta,
ma senza questo tipo di sofferen-
za, come potremmo definirci es-
seri umani in senso completo?
Togliere i simboli che già sono
esposti, crea uno spazio vuoto. Lo
spazio vuoto non è in realtà neu-
tro, comunica comunque qualco-
sa. Affermo questo riflettendo sul
primo dei cinque assiomi della
comunicazione umana (Watzla-
wick) che dice: “non si può non
comunicare”. Significa che qual-
siasi cosa facciamo o non faccia-
mo parla e comunica generando
un cambiamento pragmatico o
meglio concreto. Il modo in cui
diciamo e facciamo le cose, la
modalità della relazione crea real-
tà. Ciò significa che la comunica-
zione possiede un doppio livello,
quello razionale, del contenuto
del messaggio, che in questo caso
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