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QUADERNI
DI
ORIENTAMENTO
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Poi negli anni ’80 è iniziato quello
che lei definisce “il periodo del pen-
siero debole”?
Dopo la generazione che in qualche
modo attribuiva alla conoscenza un
valore “in sé” ed anche il valore
“politico” di comprendere i mecca-
nismi della produzione di conoscen-
za e le loro conseguenze sulla socie-
tà, c’è stata una nuova rottura di
continuità, e di segno opposto. Negli
anni ’80, ha prevalso il pensiero
“debole”, la sfiducia nella effettiva
conoscibilità delle cose, come defi-
nita dal filosofo Gianni Vattimo. Un
bel guaio per le vocazioni scientifi-
che. Le condizioni di lavoro per i
giovani ricercatori lentamente mi-
gliorano e probabilmente saranno
molto buone nei prossimi anni, ma
oggi noi ci troviamo in una situazio-
ne tale per cui anche quando buoni
laboratori offrono borse, assegni di
ricerca o contratti di ricercatore a
tempo determinato, sostanzialmente
corretti come offerte di lavoro,
abbiamo domande di un solo candi-
dato per posto, qualche volta due, a
volte nessuno. La selezione di con-
seguenza è bassissima. Alcuni bril-
lanti o semplicemente più avventu-
rosi, continuano a partire verso altri
paesi più attraenti per avviarsi alla
ricerca, il che e’ un bene prezioso,
ma il numero degli stranieri che
fanno il percorso inverso e’ troppo
scarso, quindi c’è una perdita netta
di forza lavoro scientifica in Italia.
Siamo in una situazione difficile:
abbiamo un’esplosione di iscrizioni
a Scienze delle Comunicazioni dove
la gente non va per sete di nuova
conoscenza, ma per gestire, nel
migliore dei casi, un parco di cono-
scenze acquisite. Ciò è dovuto al
fatto che in questi anni il campo
della comunicazione in senso lato
ha mostrato alcuni successi econo-
mici, e perché dei meccanismi legis-
lativi perversi tendono ad ingigantire
i fenomeni congiunturali (le tante
iscrizioni a scienze della comunica-
zione) ed a penalizzare le facoltà
scientifiche che vivono un periodo
di minor attrattività, ma rappresenta-
no un capitale di base irrinunciabile,
e già troppo scarso in questo paese.
Il sottoaffollamento delle facoltà
scientifiche e il sovraffollamento
delle facoltà tipo Scienze delle
Comunicazioni sono indice di una
congiuntura economica, non sono
dei fondamentali sui quali possa
impostarsi lo sviluppo di un paese di
cinquantacinque milioni di cittadini.
Questo problema non si affronta
solo con dei buoni dispositivi euro-
pei che pure sono importantissimi.
Deve ripartire anche una motivazio-
ne, un convincimento del fatto che
lo scienziato è un mestiere normale
e prezioso. Se abbiamo bisogno di
quasi uno scienziato ogni 100 lavo-
ratori, si tratta ovviamente di un
mestiere normale, non eccezionale.
Servono tanti e bravi scienziati,
come abbiamo bisogno di buoni
medici, di bravi ferrovieri e di pro-
fessionisti capaci negli altri campi
dell’economia e della società.
Occorre poi smetterla con lo spau-
racchio dell’eccellenza. Ci siamo
riempiti la bocca e la testa di eccel-
lenza in questi anni, proprio mentre
danneggiavamo le strutture di ricer-
ca e l’università. Un ragazzino non
ama l’eccellenza, un ragazzino è
curioso ma non vuole diventare
subito antipatico perché le sue
curiosità e scelte di studio vengono
percepite come elitarie o astruse. Un
ragazzino può essere molto curioso
e capire che c’è una carriera impor-
tante, rilevante, che gli sarà ricono-
sciuta dai coetanei e nella quale pro-
babilmente si divertirà più degli altri,
non che sarà “eccellente”. L’ec-
cellenza ha carattere di eccezionali-
tà, noi abbiamo bisogno di tanta
“buona” scienza, fatta da bravi
scienziati, fra i quali ammireremo
qualche eccellente, come ammiria-
mo i grandi artisti, sportivi, intellet-
tuali. L’eccellenza sbandierata in
questi anni è stato un titolo auto-
attribuito, una grande bugia che ha
confuso le idee a tutti. Ci sono enor-
mi opportunità per tutte le prospetti-
ve che sono state esposte durante la
giornata dei lavori. Chi si avvicinas-
se all’idea di fare il ricercatore “da
grande”, avrà senz’altro enormi
opportunità.
Un altro concetto importante che
anche lei ha ribadito è quello della
multidisciplinarietà.
La multidisciplinarietà è un punto
importante perché ci vorrà del
tempo per far evolvere le strutture
universitarie, non solo le nostre,
rispetto all’impostazione attuale che
e’ rigorosamente disciplinare. Però
la ricerca scientifica oggi è in larga
parte multidisciplinare, ed in alcuni
casi interdisciplinare. Questo ha
come conseguenza che l’angoscia
che coglieva in passato chi si trovava
a pensare: «mi iscrivo a fisica, mate-
matica, biologia e mi precludo altre
carriere nella finanza o nella sanità»
- oggi non ha più ragione d’essere.
Ciò sarà sempre più vero. I ragazzini
devono capire che se saranno bravi
fisici, biologi e matematici avranno
una gamma di possibilità di impiego
sia nella ricerca, sia nel mondo della
produzione sia in quello dei servizi
ad alto contenuto di conoscenza
estremamente alta. Cioè, potranno
scegliere, in funzione della loro bra-
vura ed interessi, probabilmente
avendo più scelta di altri che avran-
no fatto scelte apparentemente più
“sul sicuro”.
C’è poi un “modus vivendi” proprio
del ricercatore?
Fare il ricercatore espone a un aspet-
to estremamente importante che
sono le collaborazioni, i periodi tra-
scorsi all’estero, anche in paesi di
cultura e di organizzazione molto
diversi che portano a un livello di
conoscenza reciproca veramente al
di là delle barriere culturali di appar-
tenenza o politiche, e sono amicizie
che durano una vita. Tra scienziati ci
si intende abbastanza facilmente.
Nel mese di maggio andrò per 15
giorni in Cina dove un mio ex-stu-
dente di post-dottorato, oggi full-
professor a Shanghai, è diventato
una persona importante in questo
grande paese che si sta sviluppando
in modo tumultuoso. Ebbene, egli
insiste assolutamente che io e mia
moglie si sia suoi ospiti. Queste sono
cose divertenti e possono succedere
anche in altri campi di attività, ma
per gli scienziati sono assai comuni,
e rappresentano un arricchimento
importante della nostra vita.
Il fatto che gli scienziati comunichi-
no bene fra loro, in tutto il mondo
rappresenta anche un importante
ruolo diplomatico. Viviamo un
periodo in cui al “pensiero debole”
si stanno aggiungendo i fondamenta-
lismi. Sono barriere che si ergono fra
gli uomini, che tendono a rendere
impermeabili le intelligenze. Il ruolo
diplomatico degli scienziati e’ ogget-
tivo. Non è che debbano mettersi a
fare i diplomatici, lo fanno de facto,
ed è una cosa estremamente impor-