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QUADERNI
DI
ORIENTAMENTO
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Innanzitutto a livello di mentalità,
che non è poco. Voi, che siete sul
campo e siete i primi ad avvicinarvi
ai giovani, lo sapete meglio di me.
Posso provare a immaginare il tipo di
domande che vi sono poste e posso
anche provare a immaginare il tipo
di imbarazzo che ogni tanto si ha nel
dover rispondere a chi chiede: «Ma
allora, quali sono le prospettive di
carriera che mi aspettano?». Non è
sempre facile fornire una risposta.
Il senso quindi della mia presenta-
zione è proprio quello di dimostrarvi
che intanto a livello europeo ci si sta
“strutturando” (a livello europeo e di
conseguenza anche a livello nazio-
nale) perché ormai c’è un comune
modo di sentire. Indubbiamente
ancora tanto deve essere fatto. Non è
cosa da poco il fatto che finalmente
ci sia un nuovo modo di sentire
secondo il quale s’incomincia a par-
lare di opportunità di carriera per i
ricercatori, di occupabilità dei giova-
ni nel mondo della ricerca e quindi
io mi auguro veramente che quanto
vi esporrò di qui a breve serva a
darvi qualche elemento in più per
fornire risposte un po’ più incorag-
gianti, perché naturalmente voi svol-
gete un ruolo fondamentale.
Voi, come diceva l’assessore Cosoli-
ni, veramente rispondete a quell’esi-
genza di comunicare la scienza, di
passare comunque un messaggio
positivo, perché, c’è poco da fare, le
cose stanno cambiando. Abbiamo sì
bisogno di attrarre giovani, ma è
anche giusto presentare gli elementi
nuovi che esistono perché si possa
parlare veramente di carriere e di
professioni nel mondo della ricerca.
Essere ricercatore è una sfida: c’è
poco da fare, i ricercatori vengono
definiti come quei coraggiosi, quei
giovani coraggiosi, curiosi. L’asses-
sore Cosolini ha parlato giustamente
di divertimento come chiave del suc-
cesso per svolgere una professione
assolutamente interessante; si è par-
lato di piacere, si è parlato di entu-
siasmo. Ma essere ricercatore ancora
oggi rappresenta una sfida. Rappre-
senta una sfida perché sono necessa-
ri tre elementi fondamentali: un
ambiente di ricerca favorevole, che
permetta veramente uno sviluppo di
carriera; delle offerte attraenti di car-
riera nella ricerca; e sono fondamen-
tali gli investimenti in formazione,
mobilità e sviluppo di carriera in
quanto tale. Tutto questo significa
che è necessario che ci sia veramen-
te un mercato europeo del lavoro
aperto e competitivo specificamente
dedicato ai ricercatori. E noi, in que-
sto senso, stiamo lavorando da oltre
quattro anni. Quando si parla di
Spazio Europeo per la Ricerca
1
,
quando si parla di mobilità dei ricer-
catori, tutto questo concorre a crea-
re questo mercato europeo per i
ricercatori. Perché, indubbiamente,
senza un mercato europeo per i
ricercatori noi non potremmo mai
pensare, non solo di trattenere in
Europa i nostri migliori intelletti, ma
anche di attrarre da fuori quanti se
ne sono andati o quanti, giustamen-
te, potrebbero voler tornare in
Europa.
Due elementi tra i vari concorrono
alla creazione di questo mercato
europeo per i ricercatori. Innanzi-
tutto politiche per i ricercatori che
vedono specificamente impegnate
non solo l’Unione Europea ma anche
gli Stati membri; un secondo aspetto,
non meno importante, nel quale voi
giocate un ruolo fondamentale, è
proprio quello che riguarda il comu-
nicare la scienza, dove tutti hanno
un ruolo da svolgere, soprattutto gli
insegnanti, non parlo solamente
degli insegnanti delle scuole secon-
darie, ma anche appunto di coloro
che si occupano di orientare i giova-
ni, futuri universitari.
Con specifico riferimento alla prima
parte che attiene alle politiche c’è
poco da fare. Un presupposto comu-
ne a entrambi gli aspetti, ovverosia
politiche “ad hoc” per i ricercatori e
comunicazione, è l’attuale quadro
presentato dall’Europa. Probabil-
mente lo conoscete meglio di me.
Oggi abbiamo quasi 6 ricercatori su
1.000 lavoratori. È una media bassis-
sima, perché se voi comparate i dati
di Europa, USA e Giappone vedete
che in Europa, dove lo specifico rife-
rimento va a materie scientifiche e,
in particolare, a ingegneria, educhia-
mo più di quanti poi siamo in grado
di assumere. Si producono dunque
più persone rispetto a quelle che poi
effettivamente lavorano in questo
settore. Questo è un dato estrema-
mente allarmante. Perché non solo,
come dicevo prima, siamo notevol-
mente indietro rispetto agli Stati
Uniti e al Giappone, ma adesso
abbiamo altre realtà, come per
esempio quella cinese, che ci stanno
superando. Bisogna anche dire che,
oltre al fatto che l’Europa investe
meno in ricerca, ci sono due fattori
che possono spiegare questo para-
dosso: una grande produzione di
laureati, ma un bassissimo numero
di quanti poi realmente vanno a
svolgere attività scientifiche. E que-
sto dipende innanzitutto dal fatto
che molti laureati ritengono più red-
ditizio, una volta che hanno conse-
guito la loro tesi, andare a lavorare
in altri settori che non siano quello
scientifico. Il secondo elemento è
che c’è ancora una forte tendenza,
volenti o nolenti, ad abbandonare
l’Europa, perché non si riescono a
vedere le opportunità che in realtà,
questo mi piace sottolineare, sono
già esistenti in Europa. Ma proprio
perché non le si conoscono, non le
si vedono immediatamente, molto
spesso i giovani laureati tendono a
partire e a non tornare in Europa,
sempre considerato che c’è un’appa-
rente mancanza di prospettive.
Ripeto, mi piace essere positiva in
questo senso, perché invece e
soprattutto in questi ultimi due anni,
si sta notando un’inversione di ten-
denza: finalmente l’Europa incomin-
cia ad apparire come un luogo dove
l’eccellenza c’è, l’eccellenza esiste.
Il problema dell’Europa è che, essen-
do composta da 25 realtà diverse,
tutte estremamente parcellizzate,
non sempre si riesce ad avere una
visione unitaria delle opportunità di
lavoro che vengono offerte. Ma
anche qui si sta lavorando in questo
senso e le cose stanno cominciando
a cambiare.
Come ricordava prima l’assessore
Cosolini, naturalmente c’è anche
una questione fondamentale che
riguarda proprio la cosiddetta
“dimensione di genere”, ossia la pre-
senza femminile nel mondo delle
carriere scientifiche. C’è poco da
fare. Come vedete dall’immagine,
questo è quello che noi chiamiamo
il “paradosso della forbice”: le
donne incominciano con un’alta
percentuale, sono tendenzialmente
più brave degli uomini, si laureano
sempre in tempo, però poi purtrop-
po, alla fine, di “Maria Cristina
Pedicchio” ne abbiamo veramente
poche. Chi arriva a rivestire vera-
mente un ruolo importante è un
numero esiguo di donne. Invece è
esattamente il contrario per gli uomi-
ni: meno uomini cominciano studi
scientifici e si dedicano ad attività
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