8
QUADERNI
DI
ORIENTAMENTO
28
e negli indirizzi politici dell’Unione
Europea, fissando priorità e obiettivi
per gli Stati membri. Nel 2000, al
vertice dei capi di Stato a Lisbona, fu
presentata l’idea di rendere l’Europa
un’economia fortemente dinamica e
di restituirle un ruolo leader nel
campo della conoscenza. Il Consi-
glio Europeo di Barcellona del
marzo 2002 ha fissato l’obiettivo di
portare entro il 2010 gli investimenti
per la ricerca al 3% del prodotto
interno lordo degli Stati UE. Un altro
importante aspetto da considerare è
quello delle risorse umane. C’è la
necessità di attrarre più studenti
verso le facoltà scientifiche, ma
anche e soprattutto di sviluppare un
sistema di regole e incentivi per sele-
zionare capacità e talenti. Anche qui
l’Unione Europea ha posto un obiet-
tivo ambizioso: incrementare di 700
mila unità il numero dei ricercatori
europei.
Questo traguardo presuppone per i
ricercatori la creazione di condizioni
che diano loro prospettive di carriera
a lungo termine, migliorandone le
condizioni di lavoro, valorizzandone
la professionalità, facilitando la
mobilità. Va evidenziato che uno dei
parametri fondamentali che registra
la qualità del sistema ricerca (insie-
me all’investimento percentuale in
rapporto al Pil) è il numero di ricer-
catori per mille unità di forza di lavo-
ro. Bisogna cominciare dalle univer-
sità, creando le condizioni perché i
giovani si iscrivano alle facoltà scien-
tifiche, prospettando loro concrete
opportunità occupazionali, aggior-
nando i percorsi didattici ai continui
progressi della scienza e delle tecno-
logie e ampliando l’offerta formativa
anche in chiave internazionale, favo-
rendo le esperienze all’estero e la
definizione dei percorsi formativi in
una dimensione quantomeno conti-
nentale. L’Unione Europea si è dota-
ta negli ultimi anni di una serie di
strumenti per contribuire a questa
finalità: si tratta di tutti i progetti che
coinvolgono la scuola superiore, l’u-
niversità, il mondo della ricerca, il
mondo del lavoro con il comune
obiettivo di consentire a studenti,
ricercatori, professori e lavoratori di
trascorrere all’estero un periodo di
studio, lavoro, stage riconosciuto in
tutti i Paesi membri.
Grazie ai programmi universitari
Socrates, per esempio, ad oggi oltre
un milione di studenti ha beneficiato
di periodi di studio all’estero, con gli
stessi diritti dei colleghi appartenen-
ti all’Ateneo ospitante e pienamente
riconosciuti dall’Ateneo di origine.
Per le scuole superiori, i programmi
di tipo Comenius permettono per-
corsi di scambio, soprattutto tra
docenti, mentre per i ricercatori ci
sono le borse di mobilità attivate dal
programma Marie Curie.
Come ben sanno coloro che hanno
avuto l’opportunità di trascorrere
periodi di studio o lavoro all’estero,
in genere un ricercatore cerca un
ambiente stimolante, internazionale,
dinamico: università dove le biblio-
teche sono aperte 24 ore al giorno,
sabato e domenica; dove le caffette-
rie sono aperte sempre come luoghi
di incontro, di divertimento, ma
anche come occasione per incontra-
re nuovi colleghi e parlare di scien-
za. Un sistema culturale, sociale in
cui i ricercatori, al di là della razza,
dell’età, del paese di appartenenza,
si integrino in un connubio intellet-
tuale. Il Friuli Venezia Giulia in que-
sto si presenta come un distretto di
punta a livello europeo, con una
concentrazione di ricercatori, fatte le
dovute proporzioni, paragonabile a
quella degli Stati Uniti o del
Giappone. A Trieste ogni anno tran-
sitano per periodi di studio più o
meno prolungati più di ottomila
ricercatori dall’estero, quasi tutti dai
Paesi in via di sviluppo. Cospicua è
inoltre la presenza stabile di ricerca-
tori stranieri nelle nostre istituzioni
di ricerca (Centro di Fisica, Sincro-
trone, ICGEB ed altri).
Questo ci dà la percezione che la
Trieste scientifica abbia acquisito
una certa notorietà a livello interna-
zionale. È un segno di forza, ma c’è
spazio e potenziale per fare di più,
per favorire una maggiore integra-
zione delle centinaia di ricercatori e
ricercatrici che da tutto il mondo
vengono nella nostra città. Si tratta,
molto concretamente, di facilitarne
la partecipazione alla vita sociale e
culturale, di predisporre servizi di
trasporto, logistici che ne agevolino
la permanenza. Bisogna creare con-
dizioni di accoglienza simili a quel-
le comuni nei campus universitari
anglosassoni, dove all’eccellenza
dei laboratori, che da noi non
manca, si affianca la creazione di
una comunità della quale sentirsi
parte integrante, con standard di vita
qualitativamente elevati per i ricer-
catori e i loro familiari. Anche que-
sto vuol dire fare politiche per la
ricerca che vadano nella direzione
indicata dall’Unione Europea. Credo
che questa sia la responsabilità di
cui devono farsi carico gli ammini-
stratori degli enti di ricerca, tenendo
presente che gli ostacoli alla mobili-
tà internazionale sono ben indivi-
duati: barriere legali e amministrati-
ve (visti, permessi di lavoro, etc.);
trasferimento dei diritti pensionistici
e previdenziali; difficoltà relative ai
diversi sistemi di tassazione; non
soddisfacenti servizi di accoglienza;
ostacoli economici; insufficienti
sistemi di supporto per il nucleo
familiare del ricercatore (soprattutto
se donna).
La grande sfida che abbiamo di fron-
te oggi, tuttavia, sta anche in un
secondo aspetto: la mobilità interset-
toriale. Per mobilità intersettoriale si
intende la mobilità pubblico-privato,
quindi tra accademia e impresa.
All’inizio ci si è rivolti soprattutto
alla mobilità fisica, in particolare
con il progetto Leonardo che garan-
tiva la possibilità di svolgere stages
all’estero. Però oggi, quando parlia-
mo di mobilità intersettoriale ci rife-
riamo a un processo culturale che va
al di là della pura mobilità fisica e
che fa riferimento a tutte quelle azio-
ni mirate a trasferire la conoscenza
dall’università al settore privato e
viceversa. Assicurare una maggiore
mobilità dei ricercatori rappresenta
quindi un obiettivo prioritario per
consentire un effettivo trasferimento
delle conoscenze e della tecnologia
anche verso il mercato. La mobilità
dei ricercatori contribuisce a questa
osmosi, attribuendo nel contempo
dimensione europea alla carriera
scientifica e incentivando l’arrivo di
ricercatori dal resto del mondo. Si
tratta, è evidente, di un presupposto
indispensabile alla creazione di un
vero e proprio mercato europeo
della ricerca, capace di competere
con i Paesi più avanzati, a comincia-
re da Stati Uniti e Giappone. Un
mercato la cui attuazione servirebbe
anche ad invertire la tendenza, da
tempo in atto, che vede l’abbandono
dell’Europa da parte di molti ricerca-
tori, attratti da realtà meglio in grado
di rispondere meglio alle loro aspet-
tative professionali.
In effetti, il consolidamento di una
collaborazione costruttiva tra acca-
demia e industria si connota come