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QUADERNI
DI
ORIENTAMENTO
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LE ESPERIENZE
DEI RICERCATORI 1
INTERVISTA
AL PROF. GIORGIO ROSSI,
DIRETTORE DEL LABORATORIO
NAZIONALE TASC INFM-CNR
Nella sessione dedicata alle espe-
rienze dei ricercatori ha definito il
suo percorso di carriera di ricerca-
tore come: “un percorso anni ’80 e
molto maschile”. Perché?
Perché in realtà se noi vogliamo par-
lare del mestiere della ricerca dobbia-
mo contestualizzare sia rispetto agli
aspetti sociali ed economici, che agli
aspetti culturali. Dobbiamo capire
come interloquire oggi con chi può
prendere in considerazione di avviare
un percorso che lo porti alla ricerca
come mestiere della sua vita, di intra-
prendere degli studi, che plausibil-
mente possano portare gli adolescen-
ti di adesso al mestiere della ricerca,
fra 10-15 anni. Chiaramente dobbia-
mo aver presente un quadro odierno,
ben descritto negli interventi della
dott.ssa Bettini e dalla prof.ssa
Pedicchio, che è profondamente
diverso da quello che si applicava
trenta o quindici anni fa. L’Unione
Europea, che allora non c’era e ades-
so c’è, ha formalizzato una previsio-
ne e una indicazione della proporzio-
ne, usando criteri macroeconomici,
fra ricerca scientifica e resto dell’eco-
nomia necessaria per mantenere, o
forse sviluppare, il benessere degli
europei e per migliorare le nostre
relazioni con il resto del mondo.
Questo fra l’altro potrà essere soltan-
to la nostra futura capacità di affron-
tare positivamente alcuni dei proble-
mi gravi della parte del mondo meno
favorita.
L’Unione Europea ha definito un
“fabbisogno” di 8 ricercatori ogni
1.000 lavoratori, e contestualmente
la necessità di tendere all’investi-
mento in ricerca del 3% del prodot-
to interno lordo. Questo è un quadro
di riferimento macroeconomico
estremamente importante che punta
ai fondamentali di una società, e che
in parte è realizzato in alcuni paesi
extra-europei, o in piccole econo-
mie particolarmente vivaci nel nord
Europa. L’8 per mille dei ricercatori,
c’è già in Giappone, e quasi negli
Stati Uniti; altri paesi sono sulla rotta
del 3% del PIL investito, alcuni la
superano. Quindi, l’Unione Europea
non sta adottando un’impostazione
troppo immaginifica, ma sta sempli-
cemente riconoscendo che questi
sono dei criteri sui quali si giudica
strutturalmente la capacità di una
società di affrontare nuovi cicli eco-
nomici, di avere eventualmente
abbastanza conoscenze per indiriz-
zare o imporre alcuni aspetti dei
nuovi cicli economici, e non tanto la
congiuntura economica fotografata
oggi.
Questo è un quadro estremamente
diverso rispetto a quello che c’è
stato in passato?
Sì, e deve essere comunicato in
maniera efficace ai giovani e ai gio-
vanissimi. Deve essere chiaro che
c’è una prospettiva nella quale di
scienziati ce ne sarà grande bisogno:
di bravi e numerosi. Questi avranno,
inevitabilmente un riconoscimento
sociale, un prestigio di cui gli scien-
ziati della generazione dei loro geni-
tori non hanno goduto in questi
anni. La ricerca deve essere percepi-
ta come un mestiere “normale”, nel
senso che ce n’è grande bisogno,
nonostante abbia caratteristiche
peculiari, fra le quali spiccano il
grande divertimento e il grande sti-
molo intellettuale. Vi è però anche
un contesto culturale, che è argo-
mento ben più complesso, e che non
si affronta con delle normative euro-
pee, con delle Carte dei ricercatori o
con delle iniziative, per quanto
importantissime e rilevantissime, di
sostegno al mestiere dei futuri ricer-
catori.
Faccio mezzo passo indietro, ma è
veramente importante sottolineare
l’aspetto quantitativo “dei bravi e
numerosi”. Noi in Italia siamo a 2,9
addetti alla ricerca per mille lavora-
tori attivi, e questi sono prevalente-
mente vecchiotti. Io fra poche setti-
mane sarò uno splendido cinquan-
tenne e passo ancora per un giovane
ricercatore. Quindi, per avere,
magari anche solo 5 o 6 ricercatori
ogni mille lavoratori in Italia fra 10
anni, bisogna avviare agli studi
scientifici un numero estremamente
alto di giovani, sapendo che solo
alcuni di questi intraprenderanno il
mestiere di ricercatore. Le nostre
facoltà scientifiche oggi operano al
25-30% del loro potenziale di for-
mazione. I nostri corsi di dottorato di
ricerca nelle Scienze, Fisica,
Matematica, Chimica, Biologia ope-
rano al 20%-25% del loro potenzia-
le; cioè, a pari forze di corpo inse-
gnante ed infrastrutture disponibili,
potremmo facilmente quadruplicare
o quintuplicare il numero di giovani
formati in scienza ed alla ricerca.
Questo è un punto molto importan-
te. Non lo stiamo facendo, abbiamo
troppo pochi studenti e laureati in
materie scientifiche. Questo è già
oggi un grave problema per il paese
e, nel breve periodo, potremo affron-
tarlo solo diventando attraenti per i
ricercatori stranieri. Nel medio
periodo dobbiamo però ricomincia-
re a produrre un numero adeguato di
ricercatori e di scienziati nelle nostre
università. Cioè prendere oggi deci-
sioni utili a quel fine.
Chi ha cominciato un percorso di
ricerca negli anni ’80 o ’70 lo face-
va in condizioni completamente
diverse?
Diverse ed estremamente sfavorevoli
dal punto di vista strutturale: non
c’era il dottorato di ricerca, alcuni
restavano negli istituti universitari a
lavorare gratis per mesi, a volte un
anno; andare all’estero significava
nella maggior parte dei casi emi-
grare definitivamente. Però, concede-
temi di ricordare che, quando io ero
ragazzino, c’è stato il ’68. Il “Ses-
santotto” è stata una breve stagione
che politicamente non ha lasciato
grandi strascichi, perché la politica è
stato l’aspetto debole del ’68, ma
culturalmente ha rimesso al centro
dell’attenzione l’appropriazione del-
la conoscenza, la possibilità di
conoscere, di scoprire che il potere
dice le bugie. Questo fatto ha per-
meato tutta quella generazione e ha
motivato, a livello mondiale, molti
ricercatori, in tutti i campi del sape-
re. Quando lavoravo in California
nel 1980 era giovane l’ultima gene-
razione di cittadini americani WASP
(White Anglo-Saxon Protestant) che
ancora, in numeri significativi, sce-
glieva di fare il ricercatore. Comin-
ciavano già allora ad esserci labora-
tori, per il 70-100% popolati da stu-
denti non statunitensi, provenienti
da Taiwan, dalla Corea, alcuni
dall’Europa, alcuni dal Sudamerica.
In quegli anni iniziarono ad arrivare
in buon numero anche giovani dalla
Cina Popolare.