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QUADERNI
DI
ORIENTAMENTO
28
POLITICHE EUROPEE
PER LA RICERCA
STEFANIA BETTINI
COMMISSIONE EUROPEA
FATTORE UMANO,
MOBILITÀ E AZIONI MARIE CURIE
Buon giorno a tutti, signore e signo-
ri. Naturalmente un ringraziamento
al presidente Pedicchio che mi ha
permesso di essere qui oggi. Un rin-
graziamento anche all’assessore
Cosolini che mi facilita molto l’inter-
vento, perché con la sua introduzio-
ne così efficace ha presentato la
realtà odierna e le necessità, legate a
innovazione e ricerca in generale,
che tale realtà richiede.
Nel mio specifico, venendo da
Bruxelles, parlerò di politiche euro-
pee a sostegno dei ricercatori.
Poiché le premesse sono state fatte in
modo molto chiaro, mi piace ripren-
dere alcune espressioni dell’assesso-
re Cosolini.
Si è parlato della necessità di creare
una sostenibilità tra competitività e
diritti. Si è parlato anche della gran-
de necessità di una diffusione scien-
tifica come elemento di sviluppo. Si
è parlato quindi dell’importanza
assoluta, e qui l’appello va a voi in
quanto orientatori, che hanno i gio-
vani chiamati a intraprendere carrie-
re scientifiche. Perché c’è poco da
fare: abbiamo visto l’importanza che
la ricerca ha, naturalmente, in termi-
ni di crescita e innovazione. Però si
parla di ricerca, si parla d’innovazio-
ne, senza considerare il ruolo fonda-
mentale rivestito dalle risorse
umane, dalle persone che fanno, che
portano avanti queste attività di
ricerca. Ed ecco perché trovo estre-
mamente interessante il titolo che è
stato scelto per questa giornata,
ovverosia “Scienziati si nasce o si
diventa? Professione ricercatore”. È
proprio da qui che vorrei prendere lo
spunto per illustrarvi le politiche
europee che da quasi un quinquen-
nio vengono fatte proprio a sostegno
dei ricercatori.
Senza stare a richiamare gli obiettivi
prefissati a Lisbona nel 2000 e a
Barcellona nel 2002, quello che è
veramente importante, anche per voi
che siete chiamati a consigliare i gio-
vani a intraprendere carriere scienti-
fiche, è che c’è bisogno di persone,
c’è bisogno di risorse umane perché
tutti questi obiettivi così lungimiran-
ti, così spesso altisonanti, possano
veramente essere messi in attuazio-
ne di qui al 2010. Il 2010 suona e si
staglia un po’ come la data cruciale
entro la quale tutto dovrebbe diven-
tare assolutamente perfetto: data
entro la quale l’Europa deve diventa-
re l’economia mondiale basata sulla
conoscenza più competitiva in asso-
luto; data entro la quale virtualmen-
te tutti i 25 stati membri dovrebbero
devolvere il 3% del loro Prodotto
Interno Lordo alla ricerca. È però pur
vero che questi obiettivi hanno avuto
bisogno di essere rilanciati proprio
l’anno scorso perché la realtà dei
fatti ha dimostrato che siamo ancora
lontani dal loro raggiungimento.
Come dice spesso il Commissario
europeo per la ricerca, Potocnik, nei
suoi discorsi, che a volte sono per-
meati anche di un certo pessimismo,
se continuiamo con questo trend, se
continuiamo a investire nella ricerca
quanto attualmente gli stati membri
devolvono, nel 2010 saremo ben
lontani dal devolvere alla ricerca
questo famoso 3%. Ci sono dunque
problemi. Per quanto ci riguarda,
considerando anche un panorama
mondiale che è sempre più competi-
tivo, ormai i nostri competitori non
sono più solamente i “soliti”
Canada, Stati Uniti e Giappone.
Adesso si stagliano delle realtà inno-
vative che stanno recuperando e
guadagnando terreno in modo incre-
dibile e qui il riferimento va alla
Cina, all’India. Il riferimento va
anche a paesi come il Brasile. In
tutto questo contesto è da quasi un
quinquennio che le politiche euro-
pee riguardano finalmente l’aspetto
umano di tutto questo grande discor-
so, ovverosia i ricercatori.
Diciamo che per quanto riguarda il
titolo non dedicherò molte parole
alla prima parte del titolo “Scienziati
si nasce”. “Scienziati si nasce” fa
riferimento a un aspetto veramente
vocazionale di questa professione; ci
siamo ritrovati molto spesso a dire:
«il nostro problema non è convince-
re quelli che sentono veramente
questo fuoco dentro, il nostro pro-
blema non è attrarre loro nelle schie-
re scientifiche e nella carriera scien-
tifica». Perché queste sono persone
che, essendo così illuminate da que-
sto “fuoco”, indipendentemente
dagli ostacoli che ci sono, e che
sono tanti, comunque diventeranno
scienziati, comunque faranno i ricer-
catori. Non sono quindi loro il
nostro target, anche se naturalmente
hanno tutto il diritto, proprio perché
illuminati da questo “fuoco”, di eser-
citare e di sviluppare le loro capaci-
tà in un ambiente che comunque sia
favorevole a loro e alla loro carriera,
che comunque sia sufficientemente
stimolante e, soprattutto, che per-
metta loro uno sviluppo di ricerca
rigorosamente armonico e nel pieno
rispetto dei diritti che ciascun lavora-
tore deve avere.
Quella che per noi è veramente la
sfida è appunto la seconda parte di
questa frase: “Scienziati si diventa”.
Il fatto stesso che si parli di profes-
sione ricercatore, costituisce un
primo importante riferimento, per-
ché finalmente da qualche anno si
incomincia a far passare il concetto
secondo il quale essere ricercatore
significa essere un professionista. È
stato riconosciuto unanimemente
che la ricerca è una professione e
finalmente anche coloro che si
occupano di ricerca devono essere
trattati come tali. Quando noi abbia-
mo incominciato a lavorare, più di
quattro anni fa, sulle politiche euro-
pee a sostegno dei ricercatori, il
nostro primo grande scoglio era
quello di far passare l’idea, non solo
presso gli stati membri ma anche
presso i nostri colleghi di altre
Direzioni generali in seno alla
Commissione Europea, che i ricerca-
tori sono dei lavoratori e quindi dei
professionisti. Per lungo tempo i
ricercatori venivano definiti esclusi-
vamente in termini negativi: cioè
ricercatore è colui che non è inse-
gnante, è colui che non è questo, è
colui che non è quello. Voi capite
bene che come punto di partenza lo
scenario era assolutamente sconcer-
tante. E quando noi oggi parliamo
del bisogno di avere 700.000 ricer-
catori in più entro il 2010, del biso-
gno di avere ricercatori in più che
vadano, naturalmente, a sostituire le
schiere di quanti nel frattempo
vanno in pensione, non possiamo
certamente pensare di attrarre perso-
ne, soprattutto di attrarre giovani, se
lo scenario che comunque si presen-
ta è uno scenario desolante dove
veramente non c’è nulla, dove non si
parla nemmeno di professione.
Oggi, dopo quattro anni di lavoro
intenso condotto assieme a tutti gli
stati membri, finalmente si incomin-
ciano a notare i primi cambiamenti.
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