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QUADERNI
DI
ORIENTAMENTO
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scientifiche, però poi sono quasi tutti
uomini coloro i quali alla fine svol-
gono ruoli importanti.
Che cosa fare allora perché questi
coraggiosi, entusiasti ricercatori
rimangano in Europa o comunque ci
tornino, continuando a perseguire la
loro carriera scientifica? Diciamo
che si possono individuare tre strade
per riuscire veramente ad avere que-
sto mercato aperto e competitivo per
i ricercatori. La prima strada è quel-
la legata alla necessità di rimuovere
gli ostacoli amministrativi e legali
alla mobilità dei ricercatori, di que-
sto parlerà la professoressa Pedic-
chio. C’è poco da fare, se vogliamo
veramente un’Europa che sia un
mercato aperto e competitivo per i
ricercatori, se vogliamo che i ricer-
catori, che sono lavoratori “mobili”
per eccellenza, circolino da un
paese all’altro in seno all’Europa e
possibilmente ci tornino, c’è bisogno
che la loro mobilità non venga
costantemente inframmezzata da
problemi che sono principalmente e
innanzitutto legati alla vita quotidia-
na, quindi ecco il riferimento agli
ostacoli amministrativi e legali. C’è
bisogno anche di riconoscere uno
“status” più elevato alla professione,
alla carriera di ricercatore, e quindi
il riferimento va a quanto dicevo agli
inizi, che i ricercatori sono dei pro-
fessionisti. E questo dev’essere forte
e chiaro perché, voi lo sapete meglio
di me, in alcuni paesi i ricercatori
sono considerati come studenti, il
che ha una ripercussione enorme
sull’aspetto pensionistico. Un conto
è essere ancora trattati a 30-35 anni
come studenti, il che francamente è
inaccettabile, un conto è essere trat-
tati come dei lavoratori professioni-
sti. Questo ha una ripercussione sui
diritti tributari e pensionistici note-
volmente diversa da paese a paese e
anche da una realtà all’altra: un
conto è svolgere ricerca nel mondo
industriale, un conto è svolgere
ricerca in ambito accademico.
La terza strada per arrivare ad avere
un mercato aperto e competitivo per
i ricercatori è investire di più in for-
mazione, mobilità e sviluppo di car-
riera. Per quanto ci riguarda, l’Unione
Europea sta varando adesso il VII
Programma quadro per la ricerca,
nell’ambito del quale c’è un program-
ma specifico, chiamato “People”,
gente, che è proprio dedicato al
sostegno delle risorse umane. In par-
ticolare, People si prefigge, tra gli
altri, di strutturare il cosiddetto “trai-
ning alla ricerca” in tutta Europa,
quindi “abituare” veramente alla
ricerca, stimolare la partecipazione
industriale e, naturalmente, rinforza-
re la dimensione internazionale nel-
lo sviluppo di carriera.
Adesso nello specifico vorrei brevis-
simamente mostrarvi alcune delle
attività che concretamente sono state
create e sono in corso di rotta, non
solo in Europa, ma in tutti gli stati.
Per quanto riguarda la prima strada,
ovverosia il rimuovere gli ostacoli
amministrativi e legali alla mobilità,
immagino che già ne siate al corren-
te. Ma il primo vero strumento è
costituito da ERA-MORE, acronimo
che sta per “European Research Area
(Spazio europeo della ricerca), more
researchers”, più ricercatori. Si tratta
di una rete europea di centri di
mobilità composta da circa 200 cen-
tri, per quanto riguarda la realtà del
Friuli Venezia Giulia, Area è uno di
questi centri di mobilità, e 32 paesi
ne fanno parte. È un network la cui
finalità principale è proprio quella di
aiutare i ricercatori fornendo loro,
tramite un’assistenza personalizzata,
informazioni utili per quanto riguar-
da tutte le problematiche legate pro-
prio all’insediamento in una nuova
realtà. Quindi, qualunque ricercato-
re proveniente da qualunque paese,
non solo europeo ma anche extra-
europeo, si può rivolgere ad uno di
questi centri chiedendo l’assistenza
su come avere, per esempio, un per-
messo di lavoro, come trovare una
scuola per i propri figli, come aiuta-
re il proprio partner che ha bisogno
magari di cercare un lavoro in que-
sto paese. La finalità, quindi, è pro-
prio quella di aiutare i ricercatori
dando loro informazioni utili per
poter sopperire alle mancanze, so-
prattutto amministrative, burocrati-
che e legali, che oggi ancora ci sono
nei vari stati.
Si parlava prima dell’importanza di
essere a conoscenza delle opportu-
nità che esistono in Europa, opportu-
nità non solo di lavoro, ma anche di
borse di studio. C’è poco da fare:
tanti ricercatori vanno via dal-
l’Europa perché, al di là di un siste-
ma autoreferenziale, non sanno che
in Europa stessa ci sono tantissime
altre offerte e proprio questa man-
canza di conoscenza ha fatto sì che
nel 2003 la Commissione creasse il
Portale europeo per la Mobilità del
Ricercatore dove i ricercatori trova-
no informazioni su borse di studio,
offerte di lavoro, sempre con un
focus specifico sulle 32 realtà euro-
pee. Sottolineo il numero 32 perché
noi lavoriamo non solo con i 25 stati
membri dell’Unione Europea, ma
anche con gli stati associati al
Programma Quadro per la Ricerca.
Oggi 30 portali nazionali affiancano
e completano il portale europeo. Tra
essi il portale italiano per la mobilità
del ricercatore. Il portale europeo ha
anche una dimensione internaziona-
le, extra-europea, rappresentata at-
tualmente dal Canada e, soprattutto,
dal Cile che ha sviluppato il suo por-
tale nazionale per i ricercatori sul
modello europeo. La Nuova Zelanda
seguirà a breve.
Considerata la realtà specifica del
Friuli Venezia Giulia e, in particola-
re, la realtà offerta da Area Science
Park e da tutti gli enti di ricerca che
gravitano intorno a Trieste, un altro
strumento particolarmente interes-
sante, di cui io penso sia estrema-
mente opportuno che voi siate a
conoscenza, è anche il cosiddetto
“visto scientifico”. Si è parlato tanto
dell’importanza, della necessità di
attrarre ricercatori da tutto il mondo,
perché in Europa si offre eccellenza.
Abbiamo quindi bisogno che i
migliori talenti ritornino in Europa
oppure, se sono di altri paesi, ci ven-
gano. Ebbene, questo è uno stru-
mento estremamente importante e
vorrei sottolineare che questo stru-
mento venne concepito nel lontano
2001. All’epoca, quando comin-
ciammo a lavorare sull’ipotesi di un
visto scientifico per i ricercatori,
fummo visti come “visionari”, per-
ché dicevamo che non solo era
estremamente importante riconosce-
re i ricercatori come professionisti,
ma anche perché chiedevamo di
prevedere a livello europeo uno stru-
mento “ad hoc” per coloro che pro-
vengono da paesi terzi, per svolgere
in Europa esclusivamente attività di
ricerca. Considerato il grande suc-
cesso di iniziative simili attuate in
Francia, Olanda e Danimarca, ave-
vamo chiesto un visto “ad hoc” per i
ricercatori provenienti da paesi terzi.
Ebbene, nel 2001 eravamo “visiona-
ri”, mentre oggi possiamo dire con
grande orgoglio che siamo arrivati
ad avere una direttiva su questo
tema. Come probabilmente saprete,