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DARE
UN SENTIMENTO
DI CONTINUITÀ
La domanda rimane posta: come
occuparsi di questi giovani che vi-
vono la distruzione operata dalla
scuola media inferiore come la ripe-
tizione di traumi spesso molto più
remoti, l'incoerenza degli adulti
venendo qui a svegliare il trauma
della madre depressa che hanno
spesso conosciuto e le numerose
fratture che ciò ha provocato nella
loro vita. I bambini iperattivi dei
sobborghi francesi non sono altro
che una copia ingrandita dei "Wor-
ried babies" di cui parla Winnicott.
Alcuni bambini che ho incontrato
erano incapaci di situarsi una storia
che aveva tutt'al più 12 anni. Sape-
vano tutti dov'erano nati, ma dopo?
Quando mettevamo, o meglio, ten-
tavamo di mettere, su una strada
immaginaria i luoghi dov'erano vis-
suti e con chi e a quale età, la mag-
gior parte di essi cominciava a pren-
dere coscienza della complessità del
loro percorso, fatto di fratture e di
abbandoni. Mi ricordo di un giovane
che non sapeva chi fosse sua madre.
Non era abbandonato, aveva un'a-
nagrafe, viveva da poco in Francia
con suo padre e la matrigna. Suo pa-
dre, col quale non aveva nessuno
scambio, era insegnante, ma chi era
sua madre? Viveva in Africa, ne era
sicuro, ma lì c'erano varie possibilità.
La questione dell'identità di sua ma-
dre lo aveva investito in pieno appe-
na arrivato in Francia. Questo bam-
bino era così depresso che gli inse-
gnanti lo segnavano assente anche
quando era presente. Per fortuna
non si lavava e quindi segnalava la
sua presenza con un odore difficil-
mente sopportabile! Altri avevano
avuto fratture così violente nella loro
vita che rimanere seduti su un banco
per quarantacinque minuti era per
loro assolutamente impossibile, tan-
to più che molto spesso erano in
classe come in un brutto film, parla-
to in una lingua straniera, senza
doppiaggio!
Mi ricordo di un colloquio con una
giovane che mi spiegava qualcosa
di molto importante per lei, in una
lingua che era per me del tutto in-
comprensibile. La sensazione di ir-
realtà di fronte a questa lingua che
avrei dovuto capire ma che non ca-
pivo giocava a mio favore. Natural-
mente gliel'ho detto e dopo aver
tanto riso insieme, abbiamo fatto un
vero e proprio esercizio di traduzio-
ne dal "
verlan
" (gergo convenziona-
le che consiste nell'invertire le silla-
be di certe parole, N.d.T.) all'"
argot
"
(gergo parigino, N.d.T.) e dall'"
ar-
got
" al francese!
Per questi giovani dall'identità insi-
cura, questa sensazione di irrealtà è
estremamente angosciante, tanto più
che se gli insegnanti non li guardano,
hanno l'impressione di non esistere,
proprio quando lo sguardo viene
molto presto percepito come intrusi-
vo e persecutore. L'insegnante viene
dunque intrappolato in una serie di
domande paradossali molto com-
plesse. Deve poter essere attento sen-
za essere persecutore, dare ai giovani
una sensazione di continuità senza
ferire, permettere loro di beneficiare
di interazioni flessibili, sfumate e tut-
tavia coerenti, sapendo bene che i
bambini metteranno comunque alla
prova la sua capacità di contenerle.
Solo la presenza di un inquadramen-
to – l'istituzione – permetterà al gio-
vane di sperimentare senza pericolo
limiti rinforzanti per il fatto che li vi-
vrà come riflettuti e giusti e non co-
me prodotti dalla rabbia aleatoria di
uno solo in un dato momento.
La coerenza non può trovarsi nella
superficialità. Il lavoro in comune,
con la forma che ogni squadra sce-
glie di dargli, non può decretarsi.
Deve essere inteso come una neces-
sità di base che protegge sia i giova-
ni sia gli adulti da un faccia a faccia
mortifero. La funzione del lavoro
istituzionale è dunque doppia: il
giovane deve trovare una coerenza
nel funzionamento tra i vari adulti
che compongono l'istituzione, aven-
do questi stessi adulti capito i loro
ruoli come complementari. Se no il
lavoro di squadra è un pio voto, una
costrizione, addirittura una sotto-
missione al desiderio di un capo, è
senza vita e quindi senza valore.
Una volta avviato questo lavoro isti-
tuzionale, la scuola media inferiore
potrà diventare per la maggior parte
dei bambini un posto dove conti-
nueranno a crescere e a sviluppare
tutte le loro competenze multicolori.
BIBLIOGRAFIA
Freud S.,
Malaise dans la civilisation
,
Paris: PUF (1986). p.107; Vienna,
1929.
Bergeret J.
La Violence fondamentale
.,
Paris: Dunod, p. 251; 1984.
Anzieu D.
Le Groupe et l'Incon-
scient, l'imaginaire groupal
., Paris:
Dunod, p. 213; 1984.
Michèle Taillandier
Psicanalista, Psicologa
Consulente d’Orientamento*
* Ringrazio vivamente la Dottores-
sa Françoise Roux, medico e consu-
lente tecnico presso il Rettore del-
l'Accademia di Versailles.
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DI
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