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ORIENTAMENTO E scuola
la costruzione
della creatività
La creatività troppo spesso viene in-
tuita e pensata come qualcosa che va
estratto dalle teste dei bambini e dei ra-
gazzi. Si dice“liberiamo la loro creatività”.
Ma, ahimè, la creatività nei bambini non
c’è. Il bambino non è creativo, è invece
libero
, che è cosa assai diversa.
Può far di tutto, ma l’impronta di una
scarpa su una parete appena imbian-
cata, un foglio stropicciato e strappato
non ci faranno dire estasiati: che crea-
tività. Perché si appaia creativi occorre
fare un bel disegno come piace a noi
e come noi intendiamo che debbano
essere le cose creative. Insomma la
creatività richiede regole. Così come
la musica, la grande metafora richiede
un contesto che ne faccia leggere un
senso, così la creatività richiede regole.
Che sono quelle per le quali diciamo
ciò che vedo è creativo
”. E quindi, come
sarebbe importante ripeterlo a lungo,
nelle scuole: la creatività si insegna, non
si estrae.
Così come la musica si insegna e non
si estrae. Il grande sarto, il grande ar-
tista, il grande architetto mettono in
atto qualcosa che risponde a regole
estetiche che cambiano nel tempo e
si formano collettivamente, nascono
prima nelle menti di grandi masse: si
costruisce un fantasma di idea nuova
che ancora non prende forma, ancora è
trasparente, ma vien colta dai più sen-
sibili, dai più attenti, da chi ha la vista
più acuta. È essenziale che si faccia ciò
che le “persone” vogliono venga fatto
senza ancora averlo detto o chiarito a se
stesse. Il creativo percepisce la richiesta
non detta e sa rispondere. Dopodiché
l’oggetto prodotto viene
riconosciuto
in quanto novità (silenziosamente an-
nunciata). Allora la musica può essere
insegnata in questo modo, facendo
sì che vengano colmati i bisogni non
detti. Che generalmente, a scuola, non
dovrebbero essere quelli dati dal mer-
cato, dato che questi sono bisogni
già
detti e gridati
.
Per intuire come il liberismo musicale,
cioè il lasciar fare al mercato della musi-
ca, possa produrre pessimi frutti si pensi
alle case editrici che con l’ufficio marke-
ting (oggi di moda) stanno rovinando
l’editoria, togliendo di mezzo gli editori
coraggiosi. Si vende solo ciò che si sa
già vendibile, già noto, già sperimen-
tato, come accade con lo share nelle
televisioni, e le librerie si riempiono di
immondizia.
La musica non può essere solo ciò che
già piace, ciò che già vende, ciò che già
è accettato.
Una musica così insegna la normalità.
E se l’identità è fatta anche di ricerca
della normalità, allora occorre salvare
anche quella parte di musica che for-
nisce la certezza del già accettato, del
già sperimentato, del normale,
ma oc-
corre aggiungere altro
, perché l’identità
si può raccontare così, con un ossimoro:
devo essere come tutti gli altri, ma essere
comunque distinguibile fra tutti
.
Non siamo formiche, non siamo api.
Devo allora insegnare questo: la norma-
lità e la diversità.
E quale può essere un contesto ge-
nerale che può andare d’accordo con
lo stimolare la creatività, l’educazione
la formazione musicale, il pensiero mu-
sicale? Cos’è che noi sappiamo che va
insegnato affinché le menti avanzino?
Per antonomasia, qual è la cosa da saper
vivere? Lo ricorda Borges, è il dubbio. È
sapere che tutto ciò che viene dichiarato
vero può anche non esserlo, è sapere
che posso discutere, mettere in crisi,
migliorare, criticare, che non c’è un as-
soluto, posso fare questo.
Io non so come si fa, mi sto difen-
dendo col velo dell’ignoranza. Ma so
che andrebbe fatto questo. So che se
io insegno il dubbio musicale costruirò
il pensiero musicale, vi sto invitando
insomma alla didattica del dubbio. Star
bene? Anche questa è solo una frase.
Diamole un senso. Non c’è nulla di ciò
che gli uomini sentono che non sia stato
prima annunciato e profetizzato. Sia-
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