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QUADERNI DI
ORIENTAMENTO 51
pre il destino che bussa alla porta. Senti
che forza! Senti come rende l’idea! Cer-
to! Ma solo dopo che me l’hanno detto.
Accostamenti ormai inevitabili, acco-
stamenti che non possiamo più can-
cellare. Ora mi viene in mente la volta
che feci sentire “Giovinezza”, sì, proprio
l’inno fascista, a un amico inglese che
non ne sapeva nulla. L’amico ascolta e
dice wonderful, bello, proprio bello. E
certo, per noi può essere bella o brut-
ta, ma non si riuscirà mai, qualunque
sia la nostra fede politica a disgiungere
quella canzone, quell’inno, da ciò che
rappresentava.
E le eventuali atrocità o le nostalgie
non sono in quella musica, sono in noi
che le ricordiamo, che le riportiamo in
superficie.
C’è un effetto della musica legato ai
ricordi personali e affettivi.
Sento alla televisione una vecchia
canzone, le parole scuotono la mia at-
tenzione, mi fermo e le ascolto:
Io la vidi uscir dalla chiesetta
Con un’aria di misteeeerooo
E non è più una canzone, ma il volto
e la voce di mia nonna andata via tanti
anni fa, e mi si stringe il cuore.
Porto l’esempio di un cieco dalla na-
scita. Ebbene, effettuano con lui il primo
trapianto di cornea per ridargli la vista,
anzi, per dargli la vista. Intervento deli-
cato, grande attenzione, grande ansia da
parte della équipe medica, alla fine sono
tutti intorno al suo letto, gli tolgono le
bende, gli dicono“
apri gli occhi
”, si atten-
dono un “
ooooh”
di meraviglia, gioia e
stupore da parte di chi finalmente vede
il mondo e invece il nostro paziente, al-
zate le palpebre lancia un urlo disperato.
Ciò che vede è un orribile caos, un
disordine di segnali, luci, colori mai visti
prima, nulla di quel che vede ha
senso
e affinché le cose, gli oggetti possano
essere riconosciuti lo rieducano (mano
e vista). E così il nostro impara a vedere.
Perché si impara a vedere, non si ve-
de e basta.
Allo stesso modo immaginate un
sordo assoluto e con la ferocia di una
fantasia da studioso rendiamolo anche
analfabeta, non ha mai nemmeno let-
to nulla che riguardasse la musica. Ora
compiamo una operazione immaginaria
e gli doniamo l’udito. Pensate davvero
che con quella nuova dote possa sentire
la musica? Distinguere il caos dai suoni
ordinati? “Sentirebbe”il caos come quel
cieco “vedeva” il caos.
E quel caos andrà ordinato, con le
nostre conoscenze. Tutto questo per
dire che la musica non può star da sola,
non esiste una sorta di astrazione mu-
sicale assoluta.
Una vibrazione o un insieme di vibra-
zioni possono probabilmente essere
percepite dai “pomodori” di Vessicchio,
ma anche noi sentiamo i nervi ribellarsi
allo stridio di un gesso sulla lavagna. E il
gessetto non produce musica.
La musica è se volete una immensa
metafora, e le metafore non possono
star da sole, hanno bisogno di una cor-
nice, di un contesto, di parole, cultura
che le rendano evidenti.
Se pronuncio la parola“bersaglio”non
sto favorendo la creazione di immagini
narrativistiche, ma se io dico “mi sento
un bersaglio”, allora scatta la metafora.
Se dico “onda” non accade nulla, ma se
dico “le onde d’erba della pampa ar-
gentina”, allora sì, allora ho la metafo-
ra. La metafora ha bisogno di altro per
esistere, per emergere. Vale anche per
la musica.
La musica è un significante dal signifi-
cato estesissimo, una metafora immen-
sa. E le situazioni elencate in queste pa-
gine non sono altro che cornici messe a
rivestire la metafore per dare un senso
a ciò che si ascolta.
Ora però qui vorrei tornare all’argo-
mento del titolo: l’insegnamento del
benessere tramite la musica, a scuola.
Il benessere scolastico. Che c’entra
con ciò che s’è scritto?
Dobbiamo dare senso alla grande
metafora. Vi invito a lasciare da parte
il concetto di metafora e a prendere
quello di creatività, poi penseremo a
riunirli di nuovo.
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