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ORIENTAMENTO E SCUOLA
AUTOSTIMA E ADHD
Le caratteristiche principali del “Disturbo
da Deficit di Attenzione e/o Iperattività”
(ADHD utilizzando l’acronimo anglosas-
sone per Attention Deficit Hyperactivity
Disorder) sono state descritte in un prece-
dente lavoro, al quale si rinvia (DeRénoche,
Maragno, Bianchin, 2012). Gli aspetti clinici
che caratterizzano questo disturbo neu-
ropsichiatrico infantile, influenzano signi-
ficativamente il rendimento scolastico del
bambino (difficoltà a seguire l’insegnante,
frequenti errori di distrazione, …), il com-
portamento a scuola e a casa (interventi
a sproposito, intromissione nei discorsi
degli adulti, ...) ed il funzionamento sociale
(tendenza all’esclusione da parte dei pari).
Dovendo fronteggiare frequenti e continui
insuccessi scolastici e rimproveri da parte
di genitori e insegnanti, questi bambini
tendono ad avere una immagine negativa
di sé, con il rischio di sviluppare una ridotta
autostima.
Vari studi hannomostrato una possibile
correlazione fra ridotta autostima e ADHD
(Sawyer, Whaites, Rey, et al., 2002; Edbom,
Lichtenstein, Granlund, et al., 2006; Alstone
Romney, 1992; Treuting eHinshaw, 2001),
ma non vi è ancora completo accordo su
comeessasi possasviluppare. Solitamente,
la problematica dell’ADHD comporta una
compromissione funzionale a più livelli (so-
ciale, scolastico e comportamentale), per
cui il bambino sperimenta le conseguenze
negative delle proprie difficoltà in base ai
ritorni forniti dall’ambiente, favorendo una
“internalizzazione” progressiva e duratura
nel tempo degli insuccessi e conseguente
riduzione della percezione positiva di sé.
Altri autori (Hoza, Pelham, Dobbs, et al.,
2002) avrebbero ipotizzato, invece, che i
bambini con ADHD potrebbero giungere
a sviluppare una sorta di sopravalutazione
delle proprie capacità (
positive illusory bias
)
in alcune competenze compito-specifiche
(ad esempio, a livello scolastico, sociale o
comportamentale), verosimilmente come
tentativo cosciente o derivante da errata
valutazione di “auto-proteggersi” nei con-
fronti degli insuccessi sperimentati quoti-
dianamente nei vari ambiti di vita (Diener
e Milich, 1997).
MISURARE L’AUTOSTIMA
Data l’importanza che l’autostima rive-
ste nella cognizione di sé, in letteratura
sono stati proposti vari strumenti per
la misurazione della stessa. Tra questi,
vanno ricordati:
l
la Scala di Rosenberg (1965);
l
il Questionario dell’Autostima di
Coopersmith (1967);
l
la Piers-Harris Children’s Self-con-
cept Scale (1976);
l
l’Harter PerceivedCompetence Scale
(1985) ;
l
l’Implicit AssociationTest- IAT (1998).
Per la presente ricerca si è scelto di
utilizzare la Scala di Rosenberg, data la
sua rapidità di somministrazione ed il ri-
scontro dell’utilizzo di tale strumento nei
soggetti con ADHD (Dittman, 2008). La
Scala di Rosenberg
è composta da dieci
item valutati su una scala Likert a quat-
tro punti, da
“Del tutto vero”
a
“Del tutto
falso”
. Il bambino deve segnare con una
crocetta la risposta che per lui è più vera.
Una volta che la scala è stata compila-
ta, viene attribuito un punteggio come
di seguito illustrato: “del tutto vero = 3
punti”; “vero = 2 punti”; “falso = 1 punto”;
“del tutto falso = zero punti”. La misura-
zione ottenuta potrebbe non riflettere in
maniera fedele ciò che il bambino pensa
di se stesso, in quanto possono essere
presenti due distorsioni:
l
una dissimulazione consapevole,
con l’obiettivo di indurre una im-
pressione favorevole in chi sta re-
gistrando le risposte;
l
un auto-inganno inconsapevole, ri-
sposte auto-descrittive non coerenti
con le convinzioni più profonde e
spontanee.
Inoltre, un punteggio alto non neces-
sariamente riflette una reale valutazione
positiva del proprio sé, ma può esserci
“un’autostima difensiva”, artificiosamen-
te alta, che ha la funzione di protegge-
re il sé dalla reale valutazione (Lobel &
Teiber, 1994).