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QUADERNI DI
ORIENTAMENTO
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che tenderebbero a perpetuare le
condizioni di arretratezza economica
e sociale della comunità di Montegra-
no, Banfield individua una visione di
fondo del ruolo del soggetto nel farsi
del proprio destino in tutto opposta a
quella contenuta nel tema dell’auto-
realizzazione.
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Infatti, tra gli assunti
di base, le regole comportamentali
non necessariamente esplicite ma al
fondo del così detto familismo amo-
rale, Banfield sottolinea “l’idea che il
proprio benessere dipenda comple-
tamente da fattori incontrollabili – il
caso o la capricciosa protezione di
un santo – e che le possibilità umane
arrivino al massimo a migliorare la
propria buona fortuna, mai a crear-
la”.
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Lungi dall’incoraggiare l’iniziativa
personale, l’apertura al cambiamento
o la disponibilità a misurarsi, con at-
teggiamento fiducioso, con le prove
e gli ostacoli di cui inevitabilmente
sarà segnato il proprio cammino, la
visione del ruolo del soggetto con-
tenuta nell’ethos familistico tende al
contrario a sottolineare la pochezza
dei mezzi a disposizione di ciascun
individuo e l’immanente tragicità di
ogni destino personale. Coerente-
mente con questa visione, più che
dalle proprie capacità e dall’impegno
messo nella realizzazione di un perso-
nale progetto di vita, il successo – o
meglio la possibilità di “parare i col-
pi della sorte” - dipenderà dai favori
e dalle protezioni che all’individuo
competono in quanto appartenente
ad un determinato gruppo sociale
(famiglia e reti di famiglie) o che sarà
riuscito, comunque e con qualunque
mezzo, ad accaparrarsi.
Sebbene la straordinaria apertura
di possibilità di crescita, economi-
ca sociale e culturale per ampi strati
della popolazione, che ha caratteriz-
zato la seconda metà del ‘900, abbia
contribuito a relegarne sullo sfondo
l’influenza, si comprende fin trop-
po bene come l’ethos del familismo
amorale sia tutt’altro che superato
nel nostro Paese. Le convinzioni di
fondo sottese al familismo amorale,
e i comportamenti che ne conseguo-
no, si rivelano ancora pienamente
coerenti con il racconto degli eterni
guai del nostro Paese e con le logi-
che che ne imbrigliano lo sviluppo.
In breve: con il modello di una so-
cietà ancora in gran parte fondata
su privilegi legati all’appartenenza,
incapace di valorizzare i talenti e di
premiare il merito. Al contrario, il
tema dell’auto-realizzazione fatica
sempre più a trovare agganci concreti
nei meccanismi e nelle dinamiche che
presiedono alla crescita economica e
sociale del nostro Paese. E sempre più
stridente appare lo sbilanciamento fra
le aspettative e i desideri, da una par-
te, che la spinta all’autorealizzazione
mette in moto e, dall’altra, i traguardi
che in questa nostra società è pos-
sibile di fatto raggiungere. Non c’è
dunque da sorprendersi se il tema
dell’autorealizzazione abbia irrime-
diabilmente esaurito la sua capacità
di spinta, come testimoniano, fra gli
altri innumerevoli segnali, quell’in-
debolimento della capacità di desi-
derare e progettare di cui abbiamo
ripetutamente letto nei Rapporti Cen-
sis, o l’osservazione, comune a chi si
occupa di orientamento, di un una
sorta di restringimento fra i giovani
dell’orizzonte spazio-temporale dei
propri progetti, insieme alla difficol-
tà ad individuare qualsivoglia meta
desiderabile nel lungo periodo.
AL DI LÀ DELLA
REALIZZAZIONE DI SÉ
Che facciamo se l’autorealizza-
zione non funziona più? Proviamo
a guardare a quanto di positivo ci
può essere nella scoperta dei limiti
dell’individuo e della sua spinta a
realizzare, da sé e per sé, le proprie
potenzialità. Siamo sicuri che il “
de-
clino della soggettività
” (di nuovo una
citazione dai Rapporti Censis) sia un
male in assoluto? La spinta all’autore-
alizzazione non potrebbe essere rim-
piazzata dal rafforzarsi di temi di vita
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