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QUADERNI DI
ORIENTAMENTO
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nel corso della storia, dove operano
da grande miscelatore biologico e
culturale. Tralasciamo pure le migra-
zioni più remote, che pure hanno
lasciato una traccia nel DNA “italico”
(da quelle mediterranee a quelle
continentali o nordiche), ma è im-
prescindibile un riferimentominimo
alle dinamiche demografiche di fine
Ottocento: soprattutto per una cer-
ta specularità rispetto al presente.
PASSATO E PRESENTE:
UN GIOCO DI SPECCHI
Nel XIX secolo, segnato da una
grande crescita demografica euro-
pea, trenta milioni di persone del
vecchio continente, attirate dalle si-
rene della
Merica
, e indotte a fuggi-
re dal loro “bosco”
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(ovvero dal loro
habitat naturale, fatto di miseria,
debiti, crisi agraria), approdarono
nel Nuovo continente. Questi euro-
pei fuggitivi si stanziarono dappri-
ma in condizioni di grande precarie-
tà e squallore, poi formarono delle
“piccole patrie”, che progressiva-
mente si aprirono e contribuirono a
formare l’odierno
melting pot
: un
grande pentolone etnico e cultura-
le. È stato un processo graduale, non
esente, come sappiamo, da criticità.
Ma inevitabile.
Oggi, in una sorta di gioco delle
parti, l’Europa richiama altre masse
di poveri scacciati dal loro “bosco”.
Le sirene fischiano più forte, ora,
grazie alla diffusione capillare dei
nuovi mezzi di comunicazione: dai
cellulari a Internet, dalla vecchia TV
con antenna ai satelliti. La catena
migratoria, un tempo innescata da
lettere, che giungevano a destina-
zione dopo mesi, si attua ora con un
tam tam, telefonico e informatico,
sincrono, potenziato dall’irruenza
delle immagini.
Secondo una legge simile a quella
dei vasi comunicanti, a colmare i
vuoti demografici lasciati in Europa
da un tasso di natalità decrescente
(a causa di scelte di procreazione
minimali, tardive, oltre che respon-
sabili), è defluita una marea umana.
Milioni di individui, a seguito degli
“apripista” degli anni ’80, sono im-
migrati da tutto il mondo: dall’Est,
depauperatosi ancor più dopo il
crollo del muro di Berlino, dall’Asia e
dall’Africa. L’interdipendenza eco-
nomica di tutte le aree del pianeta,
la creazione di un mercato unico
delle merci, del lavoro e delle impre-
se, l’intensificarsi di scambi, relazio-
ni, comunicazioni, ha reso tutto più
facile e più rapido.
Ed eccoci ora, nel giro di trent’an-
ni, tutti profondamente cambiati:
da una dimensione di vita delimita-
ta da piccoli orizzonti, si è passati ad
una società multietnica, che impo-
ne la convivenza con persone di
ogni provenienza, cultura, religione.
Per una struttura storica di per sé
così “lenta”, come la mentalità, il
passo è stato lungo. A maggior ra-
gione per le aree di campagna, che
si sentivano protette dai loro piccoli
confini.
Nel frattempo i
forestieri
si sono in-
sediati. Dapprima spauriti, inesperti,
spesso
sans papiers,
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hanno esplora-
to il territorio. Erano i maschi, le avan-
guardie. Poi, in virtùdel meccanismo,
sia pure farraginoso, dei ricongiungi-
menti, si sono ricostituite le famiglie.
E sono arrivati anche i figli: in gesta-
zione, in tenerissima età, bambini, o
adolescenti. Nessuno di loro aveva
scelto di lasciare nonni, zii, amici, ma-
estri, giochi, un certo paesaggio.
Sono stati letteralmente trascinati
via. Ma le cose non sono state sem-
plici nemmeno per i bambini nati in
Italia, per quanto, nella maggior par-
te dei casi, amorevolmente accolti
dalla scuola, dai coetanei italiani e
dalle rispettive famiglie, in quanto
costretti a procedere su due binari:
quello che segue il sistema italiano e
quello che riconduce alla cultura di
origine dei genitori, che tra le mura
di casa praticano le loro usanze e la
lingua madre.
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