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QUADERNI
DI
ORIENTAMENTO
ORIENTAMENTO E SCUOLA
In quest’ottica consideriamo la
relazione tradizionale tra studen-
te e insegnante. L’insegnante sta
di fronte alla classe e gli studenti
sono seduti, l’insegnante spiega,
dimostra e descrive i concetti di
una certa materia mentre gli stu-
denti sono intenti ad assorbire ciò
che viene detto. Due grosse carat-
teristiche di questa relazione sono
che 1) è una forma rituale (tutti i
partecipanti hanno un’identità
ben definita, e l’insegnante deci-
de chi può parlare, quando e di
cosa) e che 2) si basa sul monolo-
go (per lo più è l’insegnante a
parlare). Dal mio punto di vista,
queste caratteristiche tradizionali
riducono decisamente le possibi-
lità di relazione, e così facendo ne
limitano il potenziale educativo.
Si considerino le conseguenze:
quando la relazione è così ritua-
lizzata, lo studente non è soltanto
escluso da una piena partecipa-
zione, ma non può neanche ac-
quisire la capacità di rappresen-
tarsi la vasta rete di relazioni di
cui egli stesso è parte. Quando gli
studenti non hanno parte nel
generare la struttura di relazioni
nella quale si trovano, è come se
fossero alieni. Cosa che per gli
studenti più grandi diventa risen-
timento e attitudine alla ribellio-
ne. Attenuare questa formalità
vuol dire dare agli studenti l’op-
portunità di dare piena espressio-
ne alla loro storia relazionale. In
effetti, porterebbero la loro estesa
rete di relazioni all’interno della
classe, in cui tutti sono invitati a
partecipare. Per esempio, uno
studente potrebbe parlare di
quanto la materia del corso sia in
relazione con la sua vita, un altro
potrebbe portare un po’ di ironia,
un altro ancora potrebbe raccon-
tare qualcosa di pertinente all’ar-
gomento. Le loro vite rivestireb-
bero un ruolo più importante per
l’insegnante, per i compagni, e
negli stessi argomenti del corso.
Per riuscirci probabilmente non si
potrebbe “coprire l’intero pro-
gramma”, ma l’integrazione del
materiale studiato con le vite
degli studenti sarebbe più pro-
fonda.
Consideriamo le implicazioni re-
lazionali del monologo dell’inse-
gnante. A livello personale mi
piace molto tenere una lezione.
Mi piace la sensazione di avere la
conoscenza tra le mani, farla u-
scire con le mie parole, creare in-
teresse e allegria. Sì, sono al cen-
tro dell’attenzione, la fonte della
conoscenza, il padre saggio. Ma,
nel tempo, ho anche capito che
questa visione romantica di me
stesso come insegnante potrebbe
coinvolgere soltanto me e non es-
sere educativa. Gli studenti han-
no così sostanzialmente assistito
ad una performance. Non sono a
conoscenza degli anni di back-
ground necessari per acquisire le
mie competenze, non hanno visto
le ore che ho speso ad organizza-
re, preparare e pensare l’ora di
lezione. Così che ciò che dico
sembra sbocciare spontaneamen-
te dal mio cervello, il che è deci-
samente ingannevole, e per di più
gli studenti non vengono prepa-
rati ad agire dalle mie parole.
Sono semplicemente preparati ad
osservare, valutare, prendere
qualche appunto e a ripetere le
mie parole quando interrogati.
Non sono preparati a prendere
parte alle future relazioni come
partecipanti efficaci nel dialogo.
Non sono allenati a proporre
idee, a rispondere con sensibilità
agli altri, o a creare con qualcun
altro modi di vedere cose che nes-
suno dei due potrebbe immagina-
re da solo.
In questo senso, possiamo essere
contenti del fiorire in anni recenti
di varie metafore, ognuna delle
quali fornisce una visione differen-
te della relazione tra insegnante e
studente. Molti hanno preso ispira-
zione dalla forma dialogico plato-
nica d’insegnamento, in cui l’inse-
gnante ha il ruolo di provocatore
dialogico, con la funzione di aiuta-
re a generare un rapporto attivo
con la conoscenza. In altri settori
dell’educazione si è ben sviluppata
la visione dell’insegnante come fa-
cilitatore. Sebbene questa visione
sia idealmente conforme ai pro-
grammi centrati sullo studente,
enfatizza però la sensibilità dell’in-
segnante ai bisogni e alle poten-
zialità dello studente. Altri specia-
listi dell’educazione hanno artico-
lato una visione della relazione tra
insegnante e studente, fortemente
legata alle teorie vygotskyane
dello sviluppo, come un apprendi-
stato
2
. Strettamente imparentata a
questa è la metafora dell’insegnan-
te come modello per lo studente. In
entrambi i casi l’enfasi si sposta dai
processi mentali dello studente al
potere della relazione.
Più recentemente, molti educatori
hanno utilizzato la metafora dell’
insegnante come mediatore.
Questo modo di vedere è associato
in particolare al concetto di classe
collaborativa, sul quale torneremo
tra breve. William Rawlins propo-
ne che l’educazione più efficace
emerga da una relazione di tipo
amichevole
3
tra insegnante e stu-
dente. Questo concetto riconosce le
potenzialità di un’attenzione reci-
proca nel processo educativo.
Sono anche interessato a quello
che gli scolari chiamano un ap-
proccio comprensivo all’insegna-
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