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fatti abbiamo previsto di selezionare
tra gli eventuali candidati solo quelli
che hanno valori medio/bassi delle
dimensioni relative alle capacità di
scelta e che attraverso un colloquio
motivazionale palesino una reale in-
tenzione di voler risolvere o migliora-
re il problema della loro inadeguata
capacità di scelta.
A chi è rivolto il progetto? Perché ha
scelto di intervenire proprio su tali
soggetti?
Il progetto di training è stato pensa-
to per soggetti con una età com-
presa tra i 18 e i 20 anni. Questo pe-
riodo dell’esistenza si caratterizza
per alcuni importanti eventi di ca-
rattere psicologico e sociale. In pri-
mo luogo, per coloro i quali portano
a termine gli studi, la fine della scuo-
la superiore costituisce un appunta-
mento che sancisce il termine di un
percorso di studi durato diversi anni;
in secondo luogo, le problematiche
complesse in merito alle quali è ne-
cessario compiere delle scelte quali
l’immissione nel mondo del lavoro,
la dipendenza-indipendenza dal
contesto familiare, la eventuale pro-
secuzione degli studi ed altre que-
stioni legate alle successive scelte di
vita. È quindi un periodo che si ca-
ratterizza per diversi aspetti e che
non ha mancato di interessare il
mondo scientifico psicologico e
quello dell’orientamento in partico-
lare. Affrontare un’azione orientati-
va significa infatti avere una cono-
scenza del destinatario del proces-
so, in termini psicologici e sociali, ma
anche da un punto di vista struttura-
le. In questo senso sono importanti
gli studi di psicologia dell’orienta-
mento di stampo evolutivo-educati-
vo. I contributi di autori quali Donald
Super (cfr. Pombeni, 1990), Legrés e
Pemartin, Pelletier Noiseux e Bujold
(cfr. Viglietti, 1988), Ginzberg (cfr.
Spazio aperto
meccanismi capaci di migliorare la
decisione in condizioni di incertez-
za (cfr. Rumiati, 2000).
Per quanto riguarda invece le teorie
socio-cognitive, gli autori che afferi-
scono a questa scuola individuano
alcuni assunti. In primo luogo le per-
sone sono capaci di codificare ed
elaborare la propria esperienza, di
produrre idee ed ipotesi, di proget-
tare percorsi nuovi, di formulare del-
le previsioni circa i propri risultati. In
secondo luogo, i comportamenti
che una persona mette in atto sono
motivati e diretti al perseguimento
di obiettivi e risultano regolati dalle
operazioni di previsione che il sog-
getto, in modo più o meno preciso,
è riuscito a compiere. Inoltre, le per-
sone sono capaci di autoregolazio-
ne, di compiere cioè operazioni di
controllo del proprio comportamen-
to e di selezionare e/o modificare le
condizioni ambientali che possono
influenzarle. Infine, le persone reagi-
scono a ciò che accade con pen-
sieri ed azioni e tramite tutto ciò
esercitano un controllo sui loro com-
portamenti, sull’ambiente, sugli stati
cognitivi ed affettivi che sperimen-
tano e, in una certa misura, anche
sulle loro stesse componenti di tipo
biologico (cfr. Nota e Soresi, 2000).
Centrale per questo paradigma e
per il progetto di training è il con-
cetto di self-efficacy. Le credenze di
autoefficacia sono definite da Ban-
dura (1982) “credenze nei confronti
delle proprie capacità di aumenta-
re i livelli di motivazione, di attivare
risorse cognitive e di eseguire le
azioni necessarie per esercitare
controllo sulle richieste di un compi-
to”. Una delle peculiarità di questo
costrutto è che può essere utilizzato
nella risoluzione di problemi psicolo-
gici di natura diversa, di fatto incre-
mentando la probabilità di succes-
so o fallimento. È dimostrato che l’in-
cremento dell’autoefficacia perce-
pita da un soggetto rispetto a un
determinato compito aumenta di
fatto la probabilità che questi lo
esegua adeguatamente. L’implica-
zione pratica da un punto di vista
formativo di ciò è che l’incremento
delle credenze di autoefficacia in
merito alle proprie abilità decisiona-
li, attraverso alcune specifiche tec-
niche didattiche ormai note e col-
laudate, accompagnata dall’ap-
prendimento di alcuni metodi ope-
rativi di costruzione e risoluzione dei
dilemmi decisionali, può consentire
ai partecipanti di incrementare po-
sitivamente le loro abilità di scelta.
Il fatto che il progetto preveda ben
14 unità didattiche può rappresen-
tare a suo avviso un rischio in grado
di inficiare la continuità dell’impe-
gno?
Ritengo sia importante che il poten-
ziale “formando”, per poter trarre
vantaggio dalla frequentazione di
questo training, si trovi in una condi-
zione di disagio intermedio, ovvero
che abbia la percezione di avere un
problema di scelta non solo relativo
al suo immediato futuro (perché ad
esempio ha già sperimentato un fal-
limento nella scelta o perché si ritie-
ne complessivamente una persona
indecisa), ma che sia in condizioni di
apprendere quanto gli viene inse-
gnato. È vero che il training è lungo
e coinvolgente (richiede ad esem-
pio anche un impegno al di fuori
dell’attività d’aula), ed è anche ve-
ro che una buona parte del suo suc-
cesso si gioca sulle abilità animative
del trainer; ma ritengo indispensabi-
le che la partecipazione da parte
dei soggetti sia volontaria (e non im-
posta), derivi dalla percezione di un
problema sulle attività di scelta, e sia
riscontrabile da uno strumento co-
me quello utilizzato per la verifica te-
st/re-test dell’efficacia del corso. In-
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QUADERNI
DI
ORIENTAMENTO
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