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ORIENTAMENTO E scuola
traduce in un incremento dell’attenzio-
ne, della concentrazione e delle abilità
di ragionamento; inoltre, diversi studi
dimostrano come venga richiamato
meglio alla memoria ciò che è stato
fatto attivamente piuttosto che passi-
vamente; infine, si ottiene una maggiore
attivazione delle strutture emotive del
cervello, con ovvi effetti positivi.
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Applicare quello
che sappiamo
Ora, cosa dovremmo fare noi inse-
gnanti sapendo questi fatti intorno al
cervello e al suo funzionamento? Che
utilità possono avere le informazioni
sul cervello giovane che apprende?
Molti studi mostrano gli effetti positivi
nella trasformazione in pratica di que-
ste ricerche. Eppure sono ancora molti
gli aspetti educativi che sfuggono alle
neuroscienze cognitive. Come pure la
presenza di sovrainterpretazioni e frain-
tedimenti della letteratura neuroscien-
tifica a disposizione.
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Il dialogo tra i due
interlocutori potrebbe prevedere uno
scambio proficuo in cui da una parte le
neuroscienze cognitive offrirebbero un
contributo conoscitivo alla didattica e
all’educazione, dall’altra parte la scuola
potrebbe indirizzare la ricerca scientifica
alla risoluzione di dilemmi educativi utili
alla professione del docente.
Costruire nuovi
concetti e
avanzare nuove
ipotesi
Se la missione per la scuola è quella di
rispondere in modo ottimale ai bisogni
di apprendimento degli allievi, diventa
determinante il riconoscimento impli-
cito del fatto che ogni studente e ogni
studentessa hanno un cervello unico.
Ognuno di loro è particolare nei suoi
punti di forza e di debolezza in relazione
all’apprendimento di informazioni di un
determinato tipo.
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Il cambiamento in
questa direzione potrebbe giungere
innanzitutto dal ruolo del docente.
Ogni docente nella sua carriera lavo-
rativa si trova a sperimentare l’incertez-
za, entrando in un’aula. Ogni studente e
studentessa costringe infatti a mettersi
in discussione, a rivedere i punti fer-
mi del proprio stile di educatore. Ci si
può allora rendere presto conto che la
metodologia e la teoria portata in aula
sono solo uno dei percorsi possibili per
attivare il processo di apprendimento,
non l’unico e neppure il definitivo, ma
che esistono, invece, modi alternativi
e imprevisti di imparare. Proprio come
esistono cervelli unici.
Persino l’etimologia di due termini im-
portanti in campo educativo incrocia ciò
che dicono le neuroscienze cognitive
sul modo in cui il cervello viene facilitato
omeno nel processo di apprendimento.
Imparare versus Insegnare. Imparare de-
riva dal latino imparare, formato da
in
e
parare
e significa procurare, nel senso di
procacciarsi una nozione. Presuppone
quindi un atteggiamento attivo e par-
tecipe. Insegnare proviene invece dal
latino insignare, formato da
in
e
signare
,
quindi segnare, imprimere, fissare, da
signum, marchio, sigillo. Rimanda quindi
al ruolo passivo di chi viene “segnato”.
Insegnare porta con sé, come sappia-
mo, l’idea di una pura trasmissione di
contenuti concettuali. Imparare invece
non significa assorbire passivamente. È
un movimento attivo che porta con sé
anche la valorizzazione e il riconosci-
mento di chi impara. È una tensione
tra due soggetti, entrambi esperti, che
entrano in relazione. Ogni elemento
aggiunge parti al rapporto educativo, e
la conoscenza che cresce è aperta, non
segue un percorso lineare.
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Imparare si arricchisce allora di sinoni-
mi come scambio, proposta, interazione,
confronto, sperimentazione, conqui-
sta. Soprattutto, diventa un compito
reciproco, condiviso e distribuito. Nel
momento in cui si entra in classe, come
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