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QUADERNI DI
ORIENTAMENTO 50
e autoreferenziale. Soprattutto negli
adolescenti è infatti sempre in agguato
il rischio di semplificare e uniformare la
realtà, disconoscendo la complessità e
la ricchezza delle diversità, e aderendo
a schemi e codici valoriali unilaterali.
L’empatia, viceversa, diventa il modello
generativo per l’accoglienza delle mille
sfaccettature della diversità, siano esse
di carattere culturale, etnico, economico,
sociale, religioso, ideologico, cognitivo.
La decifrazione e il riconoscimento del
mondo emozionale proprio ed altrui è
facilitata anche dallo strumento del role
playing, che consiste in una teatralizza-
zione di storie accadute o immaginate.
È mia consuetudine concludere un
modulo didattico invitando gli studenti
a mettere in scena un role playing. Re-
centemente, l’ho proposto a una classe
prima del corsodi scienzeumanedel liceo
“Percoto”di Udine, al termine del modulo
sull’attenzione e l’iperattività (ADHD).
A partire da una situazione-problema,
gli studenti hanno realizzato una scena in
cui il bambino con deficit di attenzione
e iperattività veniva sostenuto dall’edu-
catore, con alcune strategie di supporto
psico-pedagogiche
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.
Da un follow up su attività di questo
tipo ho ricavato sempre un riscontro
positivo, in quanto gli studenti affermano
di aver compresomeglio i concetti dopo
averli messi in scena ed essere stati coin-
volti nella teatralizzazione dell’episodio.
Ai colleghi che avanzano delle obie-
zioni sul rischio che il role playing si con-
verta in unmero“divertissement”, replico
ciò che ho espresso precedentemente
sul valore del gioco. Il role playing, lungi
dal presentarsi come gioco infantile, si
traduce piuttosto in un gioco creativo,
con il correlato della libera espressione
di sé, conditio sine qua non di ogni ap-
prendimento significativo.
Il docente deve recuperare a sua volta
l’amore per il gioco, deve credere nella
scoperta.
Se il mondo è diventato per lui noto e
scontato, alla stregua di una abitudine a
cui non fa più caso, come potrà suscitare
stupore e curiosità nei propri studenti?
Per citare Jostein Gaarder:
«L’unica co-
sa di cui abbiamo bisogno per diventare
buoni filosofi è la capacità di stupirci.
Tutti i bambini piccoli ce l’hanno. Eppu-
re, mano a mano che crescono, questa
capacità di stupirsi sembra attenuarsi.
Quando comincia a parlare, può succe-
dere che il bambino si fermi di colpo e
dica: “Bau, bau” ogni volta che vede un
cane. Allora noi ci sentiamo forse un po’
a disagio per via del suo entusiasmo.
“Ma sì, ma sì, è un bau” rispondiamo,
ormai abituati al mondo. Sarà mio com-
pito impedire che anche tu diventi una
di quelle persone che danno il mondo
per scontato, cara Sofia»
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.
LA CO-COSTRUZIONE
DI UN PROGETTO NON
È UNO SLOGAN
Le progettualità sopraccitate, in parti-
colar modo quelle riferite agli spettacoli
“Differenze o indifferenza” e “I giardini
della mente”, sono state frutto di una
co-costruzione con gli studenti. L’idea
si è realizzata in un
work in progress
, in
cui la ricerca-azione si è consolidata via
via che l’operatività realizzava le idee
preliminari, e quest’ultime si chiarivano
proprio in virtù della loro concretizza-
zione pratica.
Vorrei concludere questa riflessione
sulla didattica della creatività con un
tributo al monologo scritto da Anita
Lava
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e letto durante lo spettacolo“Dif-
ferenze o indifferenza”, che qui riporto
per intero come esempio di storytelling
volto a insegnare a tutti, me compresa,
l’accoglienza delle differenze.
“Ho letto in un articolo di giorna-
le questa frase sull’immigrazione: “C’è
un’economia nella sofferenza”. Ragazzi,
ma non vi viene la nausea a sentire una
frase del genere? Non è finita qui, adesso
arriva un altro pugno nello stomaco: “La
bontà è un sentimento senza cittadinan-
za”. E allora la bontà dov’è?
La bontà è un sentimento, un valore.
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