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SPAZIO APERTO
LAVALENZA
PSICOLOGICA
DEL CONFINE
La prima considerazione riguarda
la valenza psicologica del confine e
dei confini. Il Confine è un fatto fi-
sico. Ma è anche, per certi aspetti,
un fenomeno psicologico. Il confine
delimita una geografia fisica e poli-
tica, ma anche sociale e psicologica.
Il confine, in questo ultimo senso,
è soprattutto un evento che tende
a “escludere da qualcosa” più che a
“includere”. In esso vi è un’intrinseca
ambivalenza e contraddittorietà, da
un lato e dall’altro del confine si vuole
includere ed escludere allo stesso
tempo, rimarcando l’eccentricità del-
lo stare su un confine rispetto ad un
baricentro che è altrove.
Anche i rapporti interpersonali nelle
aree di confine assumono significati
speciali: l’amicizia come inclusione,
diviene antitesi all’esclusione, antitesi
alla diversità, sottolineata e segnata
proprio da un confine. Il contrario
di confine, come limite a qualcosa
o a qualcuno, è l ‘inclusione impli-
cata dall’amicizia; l’amicizia tende a
portare dentro, a togliere il limite, a
far cadere i confini, soprattutto “psi-
cologici”.
È uno stare al di qua o al di là, ri-
spetto reciprocamente, ad un al di
là o ad un al di qua. La problematica
della gente di confine è complessa,
fatta di inclusioni ed esclusioni, de-
terminate non solo dalla storia, ma
anche dagli eventi quasi psichici, quo-
tidiani, che il confine provoca. Tale
dinamica non è secondaria né per i
suoi aspetti micro, aspetti ascrivibili
pertanto alla sfera psicologica, né per
gli aspetti macro, ascrivibili alla sfera
politica, economica e sociale.
Giocando un po’ sui termini po-
tremmo dire che la psicologia di
confine inizia là dove cadono i con-
fini della psicologia almeno nel suoi
aspetti socio-culturali. Pensiamo ai
sentimenti che si provano quando si
varca un confine: ci può essere disa-
gio o gioia. Disagio o gioia di entrare
in qualche cosa di diverso, anche se
a volte molto simile, molto familiare,
molto vicino.
Il sentimento di orrore legato a un
episodio cruento è una percezione
universale che solo in parte può es-
sere antropoculturalmente ridotta.
Un episodio violento è tale per la
rilevanza dei suoi aspetti psicologici,
al di qua e al di là del confine, anche
se può essere diversamente tollerato,
metabolizzato, inibito, in funzione
della culturalità territoriale.
Il territorio può essere percepito
come luogo fisico delle identità, dove
l’identità è esercitata ed esperita. Luo-
go all’interno del quale si collocano
valori espressi ed inespressi; noti ed
ignoti, consapevoli ed inconsapevoli.
Paradossalmente è la lontananza da
un luogo specifico entro il quale l’i-
dentificazione è certa, che determina
questa esigenza di riaffermare una
identità “necessaria”. È come sot-
tolineare la paura di una “perdita”
oggettiva e soggettiva di un
topos
(luogo) entro il quale è costantemen-
te necessario ribadire a se stessi e agli
altri il “chi sono”, cioè la propria iden-
tità. Il fenomeno migratorio dunque
non va letto esclusivamente per le
sue indiscusse valenze etniche, so-
ciali, culturali, politiche, ma anche in
relazione alle specificità individuali
riferite ai vissuti soggettivi.
Facendo riferimento alla teoria di
campo di Kurt Lewin, la collettività
come risultante delle psicologie col-
lettive, non è la sommatoria di tanti
individuali eventi psichici, quanto
piuttosto l’interazione dinamica delle
soggettività finalizzate all’individua-
zione ed al riconoscimento di un co-
mune “stare”, di un comune “agire”,
di un comune “percepirsi “ come
realtà gruppale, come realtà supe-
rindividuale, in tanto in quanto al di
sopra e al di là del singolo individuo.
Queste nuove configurazioni et-
niche, ma prima ancora psicosociali,
costituite dai fenomeni migratori
andranno a ridefinire i confini pree-