ORIENTAMENTO E SCUOLA
60
una situazione esterna e si veri!ca
nel caso in cui si mette in atto un’at-
tività con l’obiettivo di ricevere un
premio o di evitare una punizione.
La regolazione esterna rappresenta
una forma minima di autodetermi-
nazione di motivazioni estrinseche.
Nella
regolazione introiettata
(Deci
& Ryan, 1991), gli individui hanno
internalizzato la regolazione del
comportamento, ma non l’accetta-
no completamente come propria.
Sono presenti delle pressioni inter-
ne che l’individuo applica a se stes-
so per svolgere una determinata at-
tività.
Con l’
identi!cazione
, il processo di
regolazione diviene pienamente
una parte di sé, così le persone com-
piono un’attività più spontanea-
mente.
La forma più avanzata di motiva-
zione estrinseca è la
regolazione in-
tegrata
. In questo caso il processo di
regolazione è pienamente integrato
con un coerente senso di sé.
Numerosi teorici utilizzano il con-
cetto di
internalizzazione
come pro-
cesso centrale nella socializzazione
(Kelman, 1958; Lepper, 1983; Meis-
sner, 1988; Schafer, 1968): quanto
più una regolazione esterna (per
esempio un comportamento impo-
sto) viene interiorizzata, tanto più
essa diventa parte del sé integrato e
quindi un comportamento autode-
terminato.
Il concetto di
amotivazione
, di
contro, de!nisce la mancanza di au-
tonomia e regolazione controllata.
Viene osservata quando gli indivi-
dui non percepiscono le contingen-
ze tra le azioni e le rispettive conse-
guenze; si riferiscono a questo tipo
particolare di motivazione esperien-
ze di incompetenza e mancanza di
controllo. Il comportamento amoti-
vante non è da considerarsi né in-
trinsecamente né estrinsecamente
regolato: è semplicemente amoti-
vato. Non sono previsti premi o lodi
in cambio della prestazione svolta,
può soltanto accadere che le parte-
cipazioni nelle attività abbiano
eventualmente !ne. I comporta-
menti amotivanti sono poco auto-
determinanti perché non esiste
un’intenzione o un’aspettativa di ri-
cevere premi o la possibilità di mo-
di!care il corso degli eventi.
Le origini dei nostri
concetti di sé
risiedono nelle impressioni e nelle
valutazioni che gli altri formano di
noi e che sono presenti nelle rispo-
ste che ci danno quando interagia-
mo con loro. Benché i concetti con-
tinuino a cambiare col passare del
tempo, le loro basi si formano nei
primi periodi di vita. I
concetti di sé
,
detti anche
schemi di sé
(Markus,
1977) sono strutture cognitivo-af-
fettive capaci di organizzare l’elabo-
razione di informazioni riguardanti
il sé. Corrispondono alle dimensioni
su cui una persona si descrive; pos-
sono essere di tipo positivo (
sono
onesta
) o negativo (
sono pigra
), non
sono facilmente modi!cabili e con-
tengono generalizzazioni quali
“
sono un tipo indipendente
”, oppure
“
tendo a dipendere dagli altri
”. Que-
ste acquisizioni cognitive proven-
gono dalle esperienze precedenti e,
una volta formatesi, determinano il
nostro approccio a nuove informa-
zioni su noi stessi (Markus 1977).
Recenti punti di vista formulano il
concetto di sé
come un’entità dina-
mica, complessa e sfaccettata, for-
mata da concetti di
sé multipli
o
sé
possibili
. Questi diversi sé percepiti
ri"ettono i diversi aspetti della per-
sonalità globale di un individuo (Al-
lport, 1955; Snygg e Combs, 1949). I
sé possibili
sono elementi del
con-
cetto di sé
che rappresentano obiet-
tivi individuali, paure ed ansie; pos-
sono essere visti come risorse moti-
vazionali (Markus et al., 1986). Se-
condo Oyserman (2004), l’accresci-
mento dei
sé possibili
promuove
sentimenti positivi e mantiene un
senso di ottimismo e speranza per il
futuro senza pensare a strategie
comportamentali.