ORIENTAMENTO E SCUOLA
26
NOTE
1
L’espressione è stata utilizzata,
prima di Morin, da altri: Gabelli A.
, Il
metodo di insegnamento nelle scuole
elementari d’Italia,
La Nuova Italia,
Firenze, 1973, e da Montaigne.
2
Si veda anche la nota n. 8, di
questo stesso scritto.
3
“La funzione della scuola di
trasmettere conoscenza è più
essenziale di quella di promuovere
la capacità di risolvere problemi”.
D. P. Ausubel,
Educazione e processi
cognitivi, guida psicologica per gli
insegnanti,
Franco Angeli, Milano,
1994.
4
Per programma qui si intende l’aver
stabilito linee di massima, dato che
!no all’unità d’Italia era delegata al
singolo maestro una certa libertà di
predisporre un percorso didattico.
In altri paesi era peggio: ancora ai
primi del Novecento, in America,
per “programma “si intendeva solo
qualcosa che mostrasse il potere,
la volontà di “comando”della
componente educante:
“Nessuno
sapeva esattamente le materie che
si potevano o si dovevano insegnare.
L’unico principio che guidava la
scelta degli argomenti era l’implicita
convinzione che essi non dovevano
avere alcun rapporto con il mondo
extrascolastico del ragazzo. Lo scopo
dell’istruzione era quello di far sì che
il ragazzo si formasse un bagaglio
culturale completamente estraneo alla
sua vita abituale”.
G. A. Miller,
La scienza
della vitamentale,
1971, I problemi
della psicologia, Mondadori, Milano.
5
Da disposizioni emanate dalla
delegazione degli studi di Milano,
di concerto con l’Imperial Regio
Ministro Plenipotenziario (1765 –
1791), cit. in N. D’Amico,
Storia e storie
della scuola italiana - Dall’unità ai
giorni nostri,
Zanichelli, 2009.
Si insegna solo ciò che l’altro sa
già, dice la pedagogia più illumina-
ta. Come insegnare allora agli stu-
denti ciò che sanno già, cioè la con-
fusione e la ricchezza del presente?
La scuola e i ragazzi che ci stanno
chiamando, vogliono forse sentirsi
dire “Siamo di fronte a una nuova
esigenza, a nuovi studenti, che vo-
gliono il diritto al dubbio e nel con-
tempo alle certezze”.
E questo vuol dire lasciare la scuo-
la che insegna versando saperi e ini-
ziare una scuola nella quale le com-
petenze e le idee mie di adulto e le
tue di ragazzo (sì, anche le tue) ven-
gono messe in sinergia.
Una scuola dove il mio prestigio di
adulto si basa sempre meno sulla
mia posizione gerarchica, e sempre
di più sui miei saperi e dubbi, sulle
mie competenze relazionali, sul mio
argomentare e convincere, sulle mie
arti di facilitatore delle tue scoperte.
Questo vuol dire per esempio tenta-
re di rispondere insieme ai perché
per!no dei bambini delle elementa-
ri, e poter dire anche: “
non lo so nem-
meno io”,
14
anziché “
più tardi capirai,
per ora obbedisci”.
Forse l’impresa riuscirà, ma non
basteranno allo scopo le scuole
d’oggi, le nostre aule, i nostri gruppi
classe, il nostro, ancora, modo di in-
segnare. Ma è certo che noi psicolo-
gi, abbandonate alcune (molte?)
nostre certezze, potremmo dare
una mano.
Il sogno: grandi menti, ancora trop-
po lontane dal senso comune, han-
no già mostrato che è !nito il tempo
del “fondazionalismo”,
15
della ricerca
della fondazione della “verità” scien-
ti!ca, nata nel Seicento, e che mal-
grado l’apparentemente incolmabi-
le di#erenza dei due mondi, può
ancora forse avvenire un ritorno al
dialogo per il dialogo, al discutere
insieme per il piacere di capire, della
antica sapienza greca,
16
anche se è
scomparso il profumo del mirto.
Marco Vinicio Masoni