QUADERNI DI
ORIENTAMENTO
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so, tempo addietro, nelle facoltà di
psicologia (dove si legge sempre
meno). Applicare conoscenze in
modo non contestualizzato è dan-
noso. La scuola è un mondo com-
plesso. Vuole essere capita. Non ba-
stano né le conoscenze di senso co-
mune, né le conoscenze generiche
del neo laureato. L’ascolto per esem-
pio può essere diviso in due grandi
rami, in due grandi modalità. C’è
quello di chi semplicemente applica,
scordando che la scuola è realtà
complessa, le conoscenze acquisite
(per esempio facendo diagnosi e as-
sumendo, in buona fede, un ruolo
iatrogeno). Lo si riconosce quando il
suo
sportello
rimane vuoto. Con po-
chi o nessun ragazzo che ci vanno o
con pochi insegnanti, o pochi geni-
tori.
E poi c’è il !lone dello psicologo
che conduce il suo centro d’ascolto
rispondendo al bisogno nuovo che
ha la scuola. Che è quello di essere
ascoltata e non diagnosticata, non
diessemmizzata
(sì, penso ai vari,
mutevoli, DSM
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), non “curata”.
L’o#ensiva medicalizzante in atto
è devastante, già s’è riusciti a dire
che il ragazzino disattento è “mala-
to”, ed èmalato quello ritenuto qual-
che decennio fa solo “vivace”, già si
de!niscono come guasti e malattie
modalità e tempi d’apprendimento
non omologhi a quelli che piaccio-
no alla scuola (dislessie, discalculie,
disgra!e, disortogra!e ecc.
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).
Occorre fermarsi, occorre ricorda-
re che va difeso il diritto alle proprie
di#erenze, che c’è un diritto ad esse-
re tristi e di malumore, che si può
sentirsi svogliati, senza che qualcu-
no ti getti addosso l’o#esa del ter-
mine “depresso”. Occorre ricordare
che i ragazzi vogliono essere ascol-
tati e non curati. Le famiglie voglio-
no essere ascoltate e non curate. E
ascoltare vuol dire, anche, essere
agenti di cambiamento, perché è
questo ciò che accade quando chi è
davanti a te sente che parli la sua
lingua, che capisci il suomondo, che
sei un suo alleato, che ascolti, che
sai come sta. Allora ti segue nei co-
percorsi, e questo lo fa stare bene.
I ragazzi oggi chiedono alla scuo-
la, ai professori:
“Prof., io vorrei che lei quando parla
con noi, ogni tanto, senza trascurare
la suamateria – ci mancherebbe altro
- ci parlasse anche dei nostri proble-
mi, io vorrei parlare con lei anche dei
miei guai con la mia ragazza o col
mio ragazzo”.
Lo psicologo della scuola, che va lì
per l’ascolto, dovrebbe riuscire a
leggere il proprio ruolo come
espres-
sione del bisogno che ha la scuola di
dare ascolto ai ragazzi.
E non come
immissione della missione curativa
e diagnosticante della psicologia
nella scuola. Così mentre lo sportel-
lo dello psicologo del primo tipo,
dopo due o tre incontri, grazie a un
rapido e impietoso passaparola, re-
sterà deserto, quello dello psicolo-
go espressione dei bisogni della
scuola si troverà regolarmente con
una lunga lista di attesa e con ragaz-
zi ansiosi di andare a parlare con lui/
lei.
C’è insomma da studiare questa
istituzione, capirla, entrare in con-
tatto in profondità col suo mondo.
Bisogna inventarsi modalità che
nessuno forse ha mai insegnato nel-
le facoltà di psicologia, ma che pos-
sono essere state trattate e studiate
dall’antropologia, dalla sociologia,
dalla storiogra!a, ecc.
FORMAZIONE
Noi non siamo professionisti
esperti in questioni legate diretta-
mente alle discipline, non andiamo
nella scuola materna a spiegare
come si fa la pasta di sale o nella
scuola secondaria a parlare di come
si studia la storia. Siamo psicologi,
studiamo il cambiamento e la rela-
zione, studiamo ciò che accade nel
rapporto con gli altri.
La formazione di questi anni ha
cambiato aspetto perché risponde a