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QUADERNI DI
ORIENTAMENTO
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perché sono richieste fortemente
contraddittorie.
“Se vuoi comandare impara ad ob-
bedire!”
mi sentivo dire negli anni
della mia infanzia. Quando c’erano
gli spostamenti di un gruppo classe
nei corridoi della scuola elementare
degli anni Cinquanta i bambini mar-
ciavano in silenzio. No, non dovete
immaginare un camminare disordi-
nato come quello che vedreste oggi;
si camminava in !la per due mar-
ciando al suono della voce della ma-
estra che diceva “
un due, un due, un
due
”, e ogni tanto, per veri!care la
perfezione dei tempi veniva sparato
un “
passo
!” e i piedi destri di trenta
bambini battevano il suolo per o#ri-
re il rombo, l’unisono rassicurante.
Esattamente come in caserma.
Per lungo tempo stare a scuola ha
voluto dire “obbedire”.
Ora la fonte che scelgo non vi
scandalizzi, da qualche parte ho let-
to recentemente una citazione di
Mussolini, che riporto a memoria.
Ho dato agli italiani quello che vo-
levano, cioè ubbidire
!”
Non c’è dubbio che obbedire
non
è ciò che vogliono i ragazzi d’oggi.
Potremmo proporne questa let-
tura:
Obbedire = adeguarsi a posizio-
namenti gerarchici che acquistano
il senso e il signi!cato di realtà e
normalità.
In quel vecchio tipo di cultura era-
no possibili i saperi comandati.
Per quanto oggi possa sembrare
paradossale c’è stato un tempo nel
quale era possibile “comandare”
per!no l’attenzione, e qualche inse-
gnante crede che lo si possa fare an-
cora. Non occorreva catturare l’au-
ditore (anche se naturalmente era
possibile farlo e ciò aggiungeva e"-
cacia all’oratore).
Che cosa è cambiato, cosa sta ac-
cadendo e che cosa la scuola stenta
ancora a vedere, abituata com’è da
due secoli a vedere altro? Sono cam-
biate le famiglie, è cambiato il mon-
do in pochi decenni, sono cambiati i
ragazzi, enormemente, hanno rag-
giunto e assimilato dignità diverse.
La democrazia, vissuta, respirata, di-
gerita !n dalla nascita dei nostri !gli
ha costruito certezze diverse. La
scuola di massa per esempio, me lo
ricordava recentemente un preside,
è un e#etto di questa maturazione:
ho diritto anch’io di conoscere come
quell’altro, di sapere come quelli che
non vanno alla scuola di avviamento,
ma alle medie.
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E quindi si aprono le “medie”, e ci
vanno tutti. Giusto. Questo è un ef-
fetto pratico della maturazione col-
lettiva delle coscienze. Nuovi diritti,
quindi, nuove dignità, una nuova
importanza all’individuo, una nuova
importanza alla relazione, ma nel
tempo in cui l’individuo sente di
contare di più inizia anche a vedere
con minore chiarezza e credibilità le
gerarchie u"ciali. La classe di cento
ragazzi era possibile perché la ge-
rarchia era visibile, ferrigna, palpa-
bile, fuor di metafora si usava il ba-
stone e la cosa appariva normale
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.
Il ruolo e il potere di chi insegnava
era chiaro e il suo peso condiviso.
Oggi la gerarchia sta evaporando.
Voi sapete, se avete frequentato in-
segnanti e lavorate con le famiglie,
che non basta più dire
io sono l’inse-
gnante
, perché si venga obbediti e
rispettati. Occorre negoziare, discu-
tere, convincere, non basta certo
l’espressione del potere, l’esposizio-
ne del grado gerarchico. Non passa-
no più saperi comandati perché sia-
mo davanti a un “pubblico” che ten-
denzialmente non obbedisce più. E
do al termine “disobbedienza” un
senso positivo, non parlo del disob-
bediente corrivo. Non sento più, io,
ragazzo, come cosa ovvia il fatto di
doverti ascoltare. Non ho più la cer-
tezza che tu dica le cose giuste. Vo-
glio chiedere, voglio capire perché,
ne voglio discutere con te, e se sco-
pro che non è possibile, allora la-
sciami stare, sto in classe per una
costrizione incomprensibile, tu, in-
segnante, spiega pure se vuoi, ma
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