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ORIENTAMENTO E SCUOLA
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non mi disturbare, io penso ad altro,
o ti mostro, ferocemente e provoca-
toriamente, la mia apatia.
Come uscirne? La proiezione futu-
ra è che avremo, se la scuola ce la fa,
se non muore, una scuola che avrà
imparato a co-costruire conoscen-
ze, non a raccontarle. Ecco allora le
teste ben fatte.
Ben fatte secondo i bisogni dei ra-
gazzi d’oggi.
Non è su"ciente infatti che que-
sto sia un nostro bisogno.
“M
a non possiamo fare solo quello
che chiedono loro!”
dice un inse-
gnante con un tono fra l’irato e
l’umiliato. Certo! Chi l’ha mai scritto,
detto o pensato? Si tratta però di
fare in modo che siano loro, i ragazzi,
a chiedere ciò che noi vorremmo ci
venisse chiesto
.
Ciò avverrà attraverso competen-
ze nuove, la relazione, per esempio.
Le competenze relazionali, nell’epo-
ca dei cento ragazzi per aula non
servivano, non erano così importan-
ti, perché bastava comandare e si
riusciva a farlo. Era la gerarchia fer-
rea a consentire che si dicesse
fai
cosi,
perché l’altro obbedisse. Oggi
tutto ciò non vale più.
Occorre che l’adulto impari ad es-
sere convincente, che metta a pun-
to nuove competenze nel dialogo,
nel rapporto con l’altro. Relazionali
appunto. Da qui un’altra contraddi-
zione del presente: occorrono com-
petenze relazionali a fronte di classi
ancora numerose, composte da
persone che stanno chiedendo,
ognuna di loro, un rapporto
vis à
vis
. Il gruppo classe sta mostrando
la corda. Siamo obbligati a tenerce-
lo, per tante ragioni, non ultima
quella che abbiamo scuole fatte di
mattoni e cemento armato, divise
in aule, quindi ancora funzionali
all’insegnamento del passato, ma
disfunzionali rispetto ai nuovi com-
piti. Non si può immaginare la
scuola del futuro condizionata da
gruppi classe !ssi, stabili. Parados-
salmente, la scuola di massa chiede
più attenzione all’individuo, ma co-
stringe l’individuo al gruppo, l’ossi-
moro che ne esce è questo: emergi
restando sommerso.
La cosiddetta aggregazione gio-
vanile sta diventando per alcuni
aspetti una iattura, non può non ve-
nire in mente che, prima del biso-
gno socio-politico-collettivista della
scuola moderna, Rousseau predica-
va un insegnamento individuale, ri-
tenendo la socializzazione un grave
danno. Posizione della quale oggi si
sorride con su"cienza, mancando il
coraggio di uscire dalla ubriacatura
progressista. Dovremmo riacquista-
re il coraggio di farci almeno do-
mande: l’ovvio può diventare il son-
no della ragione.
LO PSICOLOGO
SCOLASTICO
A questo punto arriva lo psicolo-
go. Che ci sta a fare? Che funzione
può avere?
Elencherò, in rispetto allo spazio
concessomi, solo due voci: l’ascolto
e la formazione e poi ne aggiungerò
una terza ancora senza nome e per
la quale ho scelto questo aforisma
di Bachelard: “Non si raggiunge nul-
la se prima non lo si sogna”.
ASCOLTO
Fondamentale, oggi. Attenzione
però. Vorrei portare come monito
una frase di un nostro decano, Jero-
me Bruner, che dice, cito a memoria:
Le di!erenze fra psicologia, "loso"a,
sociologia, antropologia, ecc. sono
questioni puramente burocratiche.
L’importante è che la persona che
viene tu#ata in un contesto com-
plesso senta di dover di nuovo pen-
sare, ragionare, osservare, studiare,
leggere, chiedere, fare proposte,
sperimentare, ipotizzare, non sem-
plicemente applicare.
Ecco, uno dei nostri rischi è che ci si
limiti ad applicare ciò che si è appre-
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