ORIENTAMENTO E SCUOLA
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OGNI DISCORSO
È UN DISCORSO
DELL’OSSERVATORE
Seundiscorsoèundiscorsodell’os-
servatore rispetto a se stesso e ri-
spetto all’altro, lo studente con il suo
modo di agire tende a offrire a chi lo
osserva l’idea che il docente ha di se
stesso e della propria funzione. Lo
studente diventa in qualchemaniera
complementare alla struttura narra-
tiva che organizza il copione di inte-
razione docente-studente.
Se ci trovassimo ad assistere ad
una commedia teatrale, ad un certo
punto che faremmo per capire
come va a finire la storia? Ferme-
remmo tutto e faremmo un bel test
di personalità a tutti i personaggi?
Certamente no, capiremmo, sa-
pendo anticipare il percorso della
storia, proprio perché già possedia-
mo le strutture narrative del genere
teatrale di cui siamo spettatori, che
fanno già parte del nostro sapere a
priori. E quindi anticipiamo quello
che avverrà e se si avvera lo sarà an-
che grazie ad un sistema di cui cer-
chiamo di confermare la coerenza
dei presupposti e lo schema replica-
bile offerto dal copione narrativo.
Se attribuiamo ad un ragazzo i
tratti dello psicopatico, oppure lo
categorizziamo sotto il profilo so-
ciale definendolo svantaggiato,
proveniente da aree subculturali,
marginali, finiamo sempre per tro-
vare le presunte cause o i loro carat-
teri negativi adatti ad un genere
biografico che niente ci dice su cosa
fare.
Un altro errore cognitivo è quello
della correlazione illusoria, ossia
quando ad un comportamento ne-
gativo associamo degli antecedenti
negativi e stabiliamo tra questi una
relazione di causa-effetto. Ci può
anche essere il genere della profe-
zia che si autoadempie. Questa sca-
turisce dal gioco incrociato dei ruoli
e dal copione che struttura la rela-
zione tra studente e contesto scola-
stico, rinviando al ragazzo quelle in-
formazioni, credenze o immagini di
sé che, assorbite nel sistema d’iden-
tità, organizzeranno i suoi atteggia-
menti e convinzioni rispetto a se
stesso, agli altri e al mondo. Come
mi disse un ragazzo “
è meglio essere
cattivi che nessuno
”.
Durante l’adolescenza il bisogno
di sapere “chi sono io” è particolar-
mente forte, per cui un ragazzo di-
venta facilmente permeabile alle
immagini di sé generate anche dai
suoi rapporti e ruoli problematici.
Per aggirare gli effetti perversi di
questo schema, dovremmo evitare
il genere narrativo “psicologistico”,
“psichiatrizzante” o “sociale”, senza
guardare al ragazzo come problema
e pensare invece al “problema del
ragazzo”, evitando di identificarlo
con le sue difficoltà.
Il nostromodo di giudicare il ragaz-
zo oltre a derivare dai costrutti lingui-
stici pedagogico-burocratici, dagli
schemi di attribuzione/spiegazione
d’uso corrente, è anche in funzione
del criterio normativo che adottiamo
(e non solo in senso metaforico) ri-
correndo a modelli che se sono utili e
validi in campo epidemiologico e
medico, non lo sono in ambito scola-
stico, psicologico e sociale. Questa
tendenza a trasformare certi settori
dell’area del disagio giovanile in
un’area sanitaria, è un grossolano er-
rore, che introduce l’ingresso di mo-
delli deterministici e riduttivisti.
Se esiste il rischio di trasformare un
bambino che va male a scuola in un
problema da gestire come evento
sanitario, sotto l’etichetta “problemi
della salute”, può manifestarsi l’effet-
to di un altro criterio normativo, que-
sta volta non più sanitario ma peda-
gogico. Alludo al criterio della norma
come “ideale”. La norma come ideale
propone come assoluto il primato
morale del “principio di prestazione”
ovviamente disseminando la strada
di tutti quei“vuoti a perdere”che non
riescono, non vogliono o resistono a